Dalla "Serie dei vescovi che fu dato di scoprire da alcuni antichi manoscritti, soprattutto da quelli che si conservano in Ascoli nell'Archivio dei Padri eremiti di Sant'Agostino" e trascritti dal vescovo Mons. Todisco Grande così si legge:
77°. Anno 1737. Il vescovo de Martinis ebbe come successore Giuseppe Campanile di Barletta che fu creato vescovo di Ascoli da Clemente papa XII nell'anno 1737, essendo stato prima decorato dell'arcipretura di quella Chiesa da Iorio, arcivescovo di Nazareth. Fece molte cose degne di lode. Curò che i canonici e i mansionari della chiesa cattedrale si adornassero della cappa magma. Assegnò la dote di quattrocento ducati d' oro al simulacro e alla cappella di S. Giuseppe già costruita dal vescovo de Martinis (come rilevasi dallo strumento di fondazione del giorno 18 ottobre 1744 per notaio don Domenico Buccini) e cento a San Francesco di Paola[oggi chiesa di S.Rocco] (come rilevasi dall'istrumento del 10 febbraio 1756 per notar don Sebastiano D'Andreana). Arricchì la sacrestia di moltissime preziose suppellettili. Costruì il battistero marmoreo. gettò le prime fondamenta dell'odierno seminario (accanto all'Episcopio - oggi non più utilizzato come Seminario -:"Seminarium adest quod Illustrissimus ac Reverendissimus Dom. Josephus Campanile a fundamentis excitavit anno 1774". . Amò i poveri così che nell'anno 1764 fu di aiuto a tutti durante un'assoluta mancanza di viveri. Lasciò questa vita il 17 ottobre 1771.
43° Vescovo per la cronotassi ufficiale, nato a Barletta il 16 maggio 1702, dal 20 dicembre 1737 al mese di novembre 1771. Era archipresbitero di Nazareth a Barletta, dottore in utroque iure e assistente al soglio pontificio. Morì ad Ascoli.
Nel 1741 fece la ricognizione canonica costatando la straordinaria conservazione del corpo del sacerdote Primicerio del Capitolo D’Antolino Pasquarello, morto nel 1540, appartenente all’antica Cattedrale di Ascoli S.Maria del Principio (che si trovava sulla collina Frontino, poi Torre Vecchia, oggi Pompei), ormai distrutta dal terremoto e quindi abbandonata. Alla morte del Primicerio la salma fu tumulata nella cappella del Crocifisso della vecchia Cattedrale. Mons. Giuseppe Campanile fece trasferire processionalmente la salma del sacerdote nella nuova Cattedrale della Natività della B.V.M. situata nel nuovo centro cittadino (oggi si trova nell'antisacrestia della Cattedrale di Ascoli). Durante il suo Episcopato si costruisce una delle porte cittadine: la Porta di S. Antonio Abate (o dell'ospedale) e viene collocata sull'arco della porta marmorea una statua di S.Potito, patrono della città. Il 16 luglio 1765 consacra il convento di S.Potito in maniera solenne. Lasciò questa vita il 17 ottobre 1771.
MEMORIA
RIGUARDANTE IL SERVO DI DIO
D. PASCARELLO D'ANTOLINO
PRIMICERIO DELL'ANTICA CATTEDRALE DI ASCOLI IN PUGLIA, CHE PORTA IL TITOLO DI S. MARIA DEL PRINCIPIO TITOLO CHE CONSERVAVA IL PRIMICERIATO COME ATTUALMENTE LO CONSERVA NAPOLI - DALLA TIPOGRAFIA DI ANDREA FESTA - Strada Carbonara n.101 - 1854
Distrutta quasi tutta la città di Ascoli di Puglia dal terremoto de' 5 dicembre 1456 situata ove veggonsi le vestige della così detta Torre Vecchia. Gli abitanti si diedero a fabbricare le loro abitazioni nel sito ove attualmente si vede la detta città.
L'antica cattedrale che era sotto il titolo di Santa Maria del Principio dal 1729 era stata totalmente abbandonata.
Nell'anno 1741 alcuni giovani, animati da spirito di devozione, progettarono di riunirsi, e formare una Congregazione nel succorpo di detta chiesa cattedrale. Il quale progetto faceva sì che spesso si recavano in detta chiesa. In una delle volte innanzi alla cappella del Crocifisso, che nell'anno 1541 era stata eretta da Altobello de Antolino, osservarono una grossa, e lunga lapide ove scolpito era l'effigie di un sacerdote vestito di abiti sacerdotali. Sollevarono, per certa loro curiosità, d'altronde riprovevole, la lapide, e 'l coperchio di legno della cassa, e videro il volto, e le gambe: col manico di un martello, per accertarsene se intiero era il cadavere, fecero leva al capo, che nel dinoccarsi fece tale strepito, come se dentro la chiesa fragoroso tuono vi fosse stato, atterriti, riposto il coperchio, e la lapide come stava si ritirarono.
Manifestato tal fatto ad alcuni di loro confidenti, e domestici, e sparsasi la voce dell'accaduto, spinti da curiosità, numerosa gente accorreva ivi; tanto che nel dì 12 di aprile del 1741 Monsignor Campanile vescovo di Ascoli si vide obbligato accorrere egli medesimo nella chiesa, frenare il popolo che pretendea togliere la lapide, aprire la cassa per vedere il corpo intatto come avevano manifestato quei giovani, e prendersi qualche memoria: e tanto era la calca del popolo che il detto Monsignore fu obbligato colla forza fare sgombrare la chiesa, serrare la porta, ed ogni altro adito, per dove entrar si potesse, fulminando anche la scomunica a chi ardito fosse per entrare, e lasciare le guardie che la custodissero per la notte. Nel dì seguente fece la giuridica ricognizione del corpo.
Di fatti il dì 15 aprile 1741 giovedì dopo la Domenica in Albis verso le ore 14 il divisato illustrissimo Prelato, con tutto il suo reverendissimo Capitolo, e testimoni opportuni, si recarono nella chiesa di Santa Maria del Principio dell'antica città: in presenza di tutti si osservò una grande lapide a basso rilievo che avea scolpita a basso rilievo che avea scolpita l'effigie del primicerio D.Pascarello de Antolino con vesti sacerdotali, e intorno l'estremità della lapide la seguente iscrizione:
Hic iacet humanum corpus venerabilis domini Pascarelli de Antolino (Altobello, che avea eretta la cappella del Crocifisso era fratello del primicerio) primicerii Sanctae Mariae de Principio, die 8 mensis Julii 16 XIII.Ind. 1540.
Quindi fatta rimuovere la lapide descritta che stava nel piano del pavimento, innanzi la detta cappella del Crocifisso, si cavò fuori la cassa che era di abete ove stava il corpo del sopranominato primicerio incorrotto, ed intero in tutte le sue parti, all'infuori della punta del naso che per isdrucciolo inavvertentemente fatto dallo smuoversi la lapide, restò ammaccato, e rotto.
Era il corpo vestito nel modo seguente. Nel capo vi erano due papaline, quella di sotto era li lustrino nero, e l'altra di sopra di panno anche nero: le mani con due guanti di pelle bianca i quali erano interi: teneva pendente dal collo una stola di filo bianco e rosso fatta a reticella colle croci di seta: nel braccio sinistro aveva un manipolo di drappo di seta con fili di argento. Il camice era di tela un poco grossa, nelle cui maniche all'orlo vi era un gallone di seta, ed argento, e nel collare vi era il medesimo ornamento, cui in mezzo una croce di velluto riccio a color di musco, col cingolo di filo; il qual camice per niuna parte avea patito corruzione, ed era sì forte come se fosse nuovo: sotto del camice tenea un corpetto di cammellotto nero imbottito di bambagia con federa di tela, e né tampoco vi si vide corruzione, o tarlo, anche nella parte che copriva le spalle, per dove vi era stato solo di umido, come dimostrava la macchia che vi era: sotto a questo vi era una camiciuola di baietta gialla, e neppure tarlata.
Indossava una camicia di tela, e questa quantunque tinta di sangue, ed umida, pure era sì ferma come se fosse stata nuova: nello scroto vi tenea ligatura piena di bambagia, e questa anche intera: le gambe, e le cosce affatto ignude, e tra esse posto del rosmarino, che quantunque secco corservava le sue foglie, fiori, col proprio naturale odore: nei piedi evea due pianelli che sembravano nuove col sovero tra la suola e la piantelle: sotto il corpo vi era un materassino di tela pieno di bambagia e sopra un panno di lana di vari colori della tinta ancora vivace: sitto il capo vi era un cuscino di tela pieno di piume bianche e rosse che sembravano fresche.
Dopo osservato tutto il sopra divisato, e rogati tutti gli atti necessari, il corpo fu situato in altra cassa, processionalmente fu trasferito nell'attuale Cattedrale. Nel cammino accadde cosa degna da notarsi. Coloro che portavano il feretro eran quattro ben robusti giovani, nel prosieguo della strada cominciarono a sentire sì grave il peso da recare somma meraviglia, quando che prima l'aveano sperimentato leggerissimo; in modo che furono costretti porselo sulle spalle, e tutti ansanti, a molli di sudore, giunsero sino alla porta della città, la strada era quasi tutta a piano inclinata. All'arco della porta della città i sacerdoti presero il cadavere, e lo sperimentarono leggerissimo.
Nel giorno seguente fu esposto alla pubblica vista del gran popolo concorso nella cattedrale per ammirare sì nuovo, e tenero spettacolo, benedicendo il Signore per la meraviglia dell' incorruzione operata con quel loro concittadino, e convincendosi di essere stato il detto primicerio un gran servo di Dio, per le tante distinzioni, colle quali fu rinchiuso dentro la cassa, l'iscrizione della lapide, ed il luogo del sepolcro; tantopiù che vi era antica tradizione che vi era stato in Ascoli il primicerio de Antolino di santa vita; che vi erano dei documenti; ma per l'incendio della sagrestia della cattedrale che tutte le carte, e scritture rimasero bruciate; nonché per la peste del 1656 che di sei mila anime, ne restò superstiti appena un migliaio, si era perduta ogni memoria.
Passati poche giorni, il surriferito Monsignor Campanile, volle osservare a nudo il cadavere, e vide che dalla punta de' piedi, sino alla cima del capo vi era intatta la cute, porzione de' capelli nell'occipite, le palpebre negli occhi, le orecchie intatte, i denti tutti, i peli nel mento, l' unghie nelle mani, e nei piedi; e quel che recò maggiore stupore, e maraviglia fu l'essersi conservato il ventre, e lo scroto incorrotto, le braccia, le gambe, ed il rimanente del corpo cedevoli al tutto: solo dalla parte sinistra del torace si osservava una apertura, che dai sopra nominati giovani per ismuovere la lapide col manico del martello era stata fatta. Osservò dippiù rossori nelle spalle, e più nella sinistra, che nella destra, cosa che fe' congettura, che vivente malmenò con aspre flagellazioni. Volle il prelato introdurre la mano nell'apertura del torace, e si accorse che era stata già dilatata, e che si era strappata un poco della cute da chi non si seppe, tentando svellere un osso dalle costole, e gli cadde nelle mani il cuore intiero, e molto sangue parte glutinoso, e parte ridotto il polvere; nonché i precordi. Il cuore fu posto in un vaso di vetro ed in un altro il sangue, e i precordi che ancora si conservano. La fama di tale scoprimento sparsasi nelle vicine contrade,concorsero moltissime persone per ammirare le grandezze ammirabili di Dio ne' servi suoi, e per ritrovare rimedi nei lunghi, e disperati malori.
Difatti grazie innumerevoli si ottennero, come si vedeva dalle copiose limosine, e doni che si offrivano all'Illustrissimo Monsignor Campanile, ed al reverendissimo capitolo per le grazie ottenute, e che da' sopradetti non si vollero mai ricevere; e ciò non ostante deponevano nella cassa delle limosine, anelli d'oro, ed altro,
Ognuno bramava ricevere qualche reliquia di tal servo di Dio, come di fatti venne distribuita a minutissimi pezzi la cassa di abete, ove si trovò chiuso il cadavere, nonché buona porzione della descritta camicia, e di altra appartenente al cadavere.
Il tutto fin qui divisato si è rilevato da una memoria in istampa, che stava rinchiusa in una cassetta con le robe del servo di Dio, suggellate a fuoco con cera lacca rossa col suggello di M.Campanile.
Il concorso poi dei divoti sino a pochi anni fa si è veduto frequente, mentre tutti i divoti che passavano andando alla Vergine Santissima dell' Incoronata, si recavano ad osservare il corpo del detto primicerio Antolino, raccomandandosi al medesimo.
Era solito in ogni tre, quattro anni spogliare il cadavere, e lavare il camice, e si osservava sempre una macchia in esso, come se fosse stato di sangue guasto, che dallo scolo del torace aperto si rinnovava. Ciò viene attestato con giuramento da persone degne di fede. Se la pelle si osserva quasi nera, si è perché cinquant'anni or sono, nel pulirsi il camice, il sacerdote mansionario di Ascoli D.Carlo Capozzi, volle collo spirito pulire il cadavere.
Si è tradizione che il tutto si rapportò alla Sacra congregazione de Riti, e che venne presentata istanza per compilarsi il processo; e dalla medesima fu decretato Deponatur.
Per molti anni, con tutto ciò, rimase il cadavere insepolto correndo in ogni anno persone a visitarlo, come sopra si diceva, oltre la divozione fervorosa che si conservava, e che ancora sussiste ne' cittadini, e tanto era il fervore de' concorrenti che si ebbe a fare sotto del coperchio della cassa una rezza di ferro, acciocchè sollevandosi il coperchio per vedere il cadavere fosse rimasta la rete, perché gli strappavano i denti, e fino a prendersino ritagli della pelle.
Monsignor Javarone, ora traslogato ad Acerra, e S.Agata de' Goti, essendo prima vescovo di Ascoli, si determinò farlo situare in un antico sacrario esistente dentro la cappella di S. Giuseppe, nella cattedrale istessa chiuso; e così non tenerlo esposto; ma come tale locale è umido, le vestimenta s' infracidivano, il capo rimasto separato dal corpo e le ossa principiate a slogarsi; così l'attuale vescovo Monsignor Todisco grande nel luglio del 1851 sì pel designato decreto della Sacra Congregazione, sì per toglierlo dall'umido l'ha sepolto in una fossa profonda, e larga quanto è la cassa ov'è riposto il cadavere dentro l' antisacristia, ove corrisponde la scala fatta dal detto Monsignore Todisco Grande per iscendere in chiesa, o propriamante a destra della porta quando si entra dalla cappella di S. Potito in detta antisacristia, rinchiudendovi nella cassa del cadavere i due vasi di vetro, nel quale si conservano il cuore, ed i precordi, con mettervi sopra l' istessa lapide colla iscrizione ed immagine scolpita del detto Primicerio, che fu ritrovata nell'antica cattedrale, quando si rinvenne il cadavere. In una scatola poi si sono depositati i residui d'indumenti sacerdotali, e vesti del divisato servo di Dio, e suggellata si conserva nell'archivio capitolare. Possa il grande Iddio glorificare su questa terra con prodigi, e miracoli il divisato servo di Dio, ed un giorno adorarsi sugli altari.
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