S. POTITO MARTIRE, LA PATRIA D'ORIGENE DI - CONCLUSIONI

Dal libro di F. Capriglione "La patria di origine del martire Potito", Ascoli Satriano 1978 si legge:

Il problema di individuale la patrie d'origine del martire Potito sembra aver trovato la sua soluzione definitiva nell'identificazione del toponimo (SERDICA) della "PASSIO" in Ascoli Satriano oppure in Ordona. Esclusa, infatti, con validissime ragioni ogni identificazione con Serdica della tracia e con la Sardegna (tutte identificazioni fondate o su codici recenti o su lezioni inesistenti e puntualmente contraddette dalla totale mancanza di qualsiasi commemorazione del martire nei testi agiografici e liturgici greco-orientali, dalla tarda origine di un culto sardo dovuto unicamente alla presenza delle reliquie, dalla estrema difficoltà di escludere l'origine pugliese del martire, perché la Puglia ne è il luogo del martirio e il centro di irradiazione del culto9, precisato che la lezione più probabile offerta dai codici è "SERDICA" o "SARDICA", ritrovata l'antica denominazione di Ascoli Satriano (SERTICA) e di Ordona (SERDO, SARDO), lo scopo della ricerca si può considerare raggiunto. Basterà spiegare, infatti, le regioni e le occasioni delle varie traslazioni, che sono alla base di tradizioni sarde o orientaleggianti.

Il territorio ascolano, luogo del martirio e centro di irradiazione del culto, perderà ben presto il corpo del martire. Quando, nel IV secolo, le comunità cristiane cominciarono a scambiarsi gli anniversari dei martiri, il martire Potito viene conosciuto e venerato anche dalla chiesa napoletana, il cui vescovo Severo (363-410) erige un monastero intitolato al martire pigliese. Con questa erezione il culto del martire viene a trovarsi legato all'evoluzione del monachesimo dal momento che proprio nella seconda metà del secolo IV il monachesimo si diffonde in Italia e specialmente in Campania. Difatti, il monastero di S. Potito a Napoli è tenuto prima dai monaci e poi da monache di S. Basilio: si spiega, quindi, facilmente il passaggio del culto dalla Puglia all'Esarcato di Ravenna, ambedue dominati dai Bizantini ed aperti al flusso dei monaci basiliani.

Quando poi, nel secolo VIII, comincia in occidente l'uso della traslazione e della distribuzione delle reliquie, il duce di benevento Sicardo (818-39) fa trasportare le reliquie del martire dal luogo del martirio a Benevento, precisamente nell'abazia benedettina di s. Sofia, la quale, già dal secolo VIII, possiede un vasto territorio proprio sul fiume Calaggio in agro dii Ascoli. Oltre ai benedettini cassinesi e beneventani, anche quelli di Montevergine e della Trinità di venosa, filiazione di cava, hanno ampi possedimenti nel territorio ascolano: si spiega così la traslazione operata nel XII secolo da S. Sofia all'abazia di Montevergine e il ritrovamento di reliquie di S. Potito nell'abazia della trinità di Tricarico (strettamente legata alla trinità di Venosa), che dà origine al culto locale nel XVI secolo.

Anche perla presenza del culto di S. Potito in Sardegna e a Pisa, occorre rifarsi ai benedettini, evangelizzatori dell'isola nel secolo XI, allorché questa è soggetta precisamente alla chiesa pisana, che vi esercita u importante ruolo politico-religioso tra il 1016 e il 1296.

Sottratto il corpo del martire alla sua patria, privata questa della sede episcopale dal CVII al X secolo, il ricordo del martire si conserva solo nei monasteri benedettini, che ne hanno ereditato le reliquie e le tradizione liturgico-agiografiche: così i toponimi diventano incomprensibili agli stessi agiografi, che si vedono indotti a creare racconti puramente fantastici per spiegare la morte del martire presso un ignoto fiumicello pugliese.

Ma l'analisi filologica e la critica storica hanno potuto ricostruire scientificamente ciò che il tempo aveva momentaneamente velato; edè quanto si proponeva questo lavoro, nella speranza di aver raggiunto il proprio fine.