Sotto il suo episcopato fu eletto vescovo di Ascoli Giovanni Antonio Bioccarelli nell'anno 1458 secondo la "Serie dei vescovi che fu dato di scoprire da alcuni antichi manoscritti, soprattutto da quelli che si conservano in Ascoli nell'Archivio dei Padri eremiti di Sant'Agostino" e trascritti dal vescovo Mons. Todisco Grande.
Secondo la cronotassi ufficiale il 23° vescovo di Ascoli dal 13 novembre 1458. Il 9 agosto 1469 viene trasferito a Nola dal successivo papa Paolo II. Nacque a Taranto. Morì il 1° giugno 1475.
Pio II, nato Enea Silvio Piccolomini (Corsignano, 18 ottobre 1405 – Ancona, 14 agosto 1464), fu il 210º papa della Chiesa cattolica dal 1458 alla morte. Enea Silvio Piccolomini nacque a Corsignano (l'odierna Pienza), nel territorio senese, il 18 ottobre del 1405, uno dei diciotto figli di Silvio Piccolomini, di nobile famiglia decaduta, e di Vittoria Forteguerri[2]. La famiglia aveva scelto questo nome per via di un loro avo di nome Giulius Piccolominis Amideis, che era imparentato con la famiglia degli Amidei di Firenze. Quando seppero della discendenza degli Amidei dalla Gens Iulia, decisero di chiamare il futuro Pio II Enea Silvio, in onore di Enea, figlio di Venere, che, come sosteneva la Gens Iulia, era il primo membro della loro famiglia. Ebbe un'educazione di prim'ordine. Nel 1423 fu mandato dal padre a studiare all'Università di Siena per studiare diritto, alle cui lezioni assistette malvolentieri, in quanto dedicò le sue energie nello studio dei classici latini e greci (Platone, Cicerone, Seneca), nelle bravate con gli amici[2] e nella passione per le donne. Nel 1429, per volontà paterna fu inviato a Firenze per perfezionare gli studi, città ove poté frequentare umanisti di prim'ordine quali Francesco Filelfo, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini. Dopo aver conseguito la laurea, il giovane Piccolomini si stabilì a Siena come docente, ma nel 1431[2] accettò il posto di segretario di Domenico Capranica, vescovo di Fermo, allora sulla strada che lo conduceva al Concilio di Basilea in polemica contro il nuovo papa Eugenio IV che intendeva non riconoscergli la nomina a cardinale[2]. Arrivato a Basilea nel 1432, il giovane Piccolomini mostrò la sua abilità politica e diplomazia servendo Capranica e diversi altri signori. Nel 1435 venne inviato dal cardinale Albergati, legato di Eugenio al concilio, in missione segreta in Scozia presso Giacomo I, missione durante la quale ebbe due figli illegittimi. Piccolomini visitò l'Inghilterra oltre alla Scozia, e fu soggetto a diversi pericoli e vicissitudini in entrambe le nazioni, delle quali lasciò un prezioso resoconto. Nel frattempo, il Concilio di Basilea cominciò a manifestare in modo più violento quelle tendenze conciliariste elaborate durante il Concilio di Costanza. Papa Eugenio IV, preoccupato per tale piega, decise di trasferire la sede ufficiale del Concilio a Ferrara (1437), città ove poteva tenere più sotto controllo l'operato dei Padri conciliari in quanto italiana. Buona parte dei padri rifiutarono la decisione di Eugenio, dando origine al cosiddetto «piccolo scisma d'occidente». Piccolomini, benché ancora laico, fu nominato funzionario del Concilio nel 1436 e, dopo l'aperta rottura avvenuta nel 1437, passò dalla parte dei conciliaristi. Nell'autunno del 1439 appoggiò l'elezione ad antipapa dell'ex duca di Savoia Amedeo VIII (Felice V), e nel 1440 scrisse il Libellus dialogorum de generalis concilii authoritate, vero e proprio pamphlet in difesa dell'autorità conciliare. Visto però lo scarso seguito che Felice V riuscì a ottenere, Piccolomini trovò un pretesto per entrare, nel 1442, alla corte dell'imperatore Federico III. In virtù delle sue eccellenti doti retoriche e della sua vasta cultura, venne incoronato poeta laureato nella dieta di Francoforte del 1443, ed ottenne il patrocinio del cancelliere dell'imperatore, Kaspar Schlick. Nei tre anni vissuti a corte Piccolomini scrisse due tra sue opere letterarie più significative e importanti: la commedia Chrisis nel 1443 e la celebre novella Historia de duobus amantibus nel 1444, che ebbe un importante influsso sulla produzione letteraria successiva. Nel 1445, all'apice della gloria politica e letteraria, Piccolomini contrasse una grave malattia che lo spinse, una volta guarito, a cambiare radicalmente vita. Il suo carattere era stato fino ad allora quello di un facile uomo di mondo, senza pretesa di coscienziosità nella morale o di coerenza in politica. Egli iniziò a essere più regolare nel primo aspetto, e nel secondo adottò una linea definita facendo pace con Roma. Essendo stato inviato in missione a Roma nel 1445 da parte di Federico III, con lo scopo apparente di indurre Eugenio a convocare un nuovo concilio, venne assolto dalle censure ecclesiastiche e fece ritorno in Germania con il compito di assistere il Papa. Questo fece, in maniera molto efficace, con la destrezza diplomatica con la quale ammorbidì le differenze tra la corte papale di Roma e gli elettori imperiali tedeschi; ed ebbe anche una parte importante nel compromesso col quale, nel 1447, il morente Eugenio accettò la riconciliazione offerta dai principi tedeschi, lasciando senza supporto il concilio e l'antipapa. Enea per quel tempo aveva già preso i voti: consacrato suddiacono nel 1446, fu consacrato presbitero il 4 marzo 1447. nuovo, Papa Niccolò V, era un umanista e anche amico personale del Piccolomini[7]. Entrato nelle grazie del nuovo pontefice, Piccolomini percorse una rapida carriera ecclesiastica: fu vescovo di Trieste dal 19 aprile 1447 fino al 23 settembre 1450[2], quando fu nominato vescovo di Siena, seggio vescovile ricoprì fino al 19 agosto 1458[2] e non senza tribolazioni. Difatti, l'appartenenza del Piccolomini ad un'antica famiglia magnatizia caduta in disgrazia e l'ambiguità dello stesso Piccolomini nelle trattative con le autorità cittadine, resero inviso ai senesi l'insediamento di quest'ambiguo loro concittadino, diffidenza che si trasformò poi in apertà ostilità quando nel 1456, dopo aver ricevuto il cappello cardinalizio, fu negato al porporato l'ingresso nella sua città[2].
Pinturicchio, Callisto III eleva Piccolomini alla dignità cardinalizia, Libreria Piccolomini, Cattedrale di Siena
Nelle sue diocesi, però, il presule poté risiedere pochissimo tempo, tanto era impegnato in varie missioni diplomatiche per conto della Santa Sede. Niccolò V, sapendo dei buoni rapporti che intercorrevano tra il Piccolomini e Federico d'Asburgo (e della sua ottima conoscenza della lingua tedesca), lo inviò, insieme al cardinale Cusano, come ambasciatore alla corte imperiale per negoziare il matrimonio di questi con la principessa Eleonora d'Aviz (celebrato per procura nel 1450), cosa che riuscì a portare a termine insieme alla stipulazione di un concordato che ristabiliva i rapporti fra Chiesa e Impero[8]. Nel 1451 intraprese una missione in Boemia dove concluse un soddisfacente accordo con il capo degli hussiti, Giorgio di Podebrady; nel 1452 ricevette Federico a Siena e lo accompagnò a Roma, dove l'imperatore sposò "ufficialmente" Eleonorae venne incoronato re dei Romani (9 marzo) e poi Sacro romano imperatore il 19 marzo. Fu l'ultimo imperatore ad essere incoronato a Roma. Il 1453 fu un anno traumatico per l'intero Occidente cristiano: il 29 maggio Costantinopoli, ultimo baluardo del cristianesimo davanti alla minaccia turca ed erede dell'antico impero romano, cadde nelle mani di Maometto II. Il trauma fu particolarmente sentito negli ambienti umanistici, e quindi anche nel vescovo Piccolomini che, spinto dall'emozione, scrisse il Dialogus, trattato dialogico in cui si riflette sia sull'autorità morale del papato, sia sulla necessità di una crociata volta a frenare l'avanzata ottomana. Nell'agosto 1455 Enea Piccolomini tornò a Roma con un'ambasciata per proferire l'obbedienza della Germania al nuovo Papa, Callisto III. Egli consegnò al pontefice le raccomandazioni dell'imperatore e del re d'Ungheria Ladislao V per la sua elezione al cardinalato. La nomina non si fece a causa della determinazione del Papa a promuovere prima un suo nipote, così dovette aspettare fino al dicembre dell'anno successivo. Ottenne temporaneamente il vescovato di Warmia (in Polonia). Tra il 1455 e il 1458 Piccolomini raggiunge l'apice della notorietà: fu finalmente nominato cardinale il 17 dicembre 1456[2], portò a compimento la Historia Federci III imperatoris (1452-1458) ed abbozzò alcuni trattati dal sapore internazionale quali il De Europa e la Cosmographia. Callisto III morì il 6 agosto 1458; il 10 agosto i cardinali entrarono in conclave. Il cardinale di Rouen, Guillaume d'Estouteville, benché francese e dal carattere discutibile[non chiaro], sembrava certo di essere eletto. Il Piccolomini lo contrastò efficacemente attraverso la sua arte, energia ed eloquenza[12]. Egli frustrò le speranze del rivale, ricordando i rischi della nomina di un cardinale francese al soglio pontificio, giacché avrebbe riportato la sede pontificia ad Avignone e l'avrebbe soggiogata agli interessi d'oltralpe:
« E che è la nostra Italia senza il presule romano? [...] O il papa francese se ne andrà in Francia, e la nostra dolce patria sarà orbata del suo splendore; o resterà tra noi, e l'Italia, regina delle genti, servirà un padrone straniero e noi saremo schiavi della gente francese. »
(Enea Silvio Piccolomini, Commentarii, ed. Totaro, pp. 197-201)
Grazie a questa prova di coraggio e in virtù delle sue abilità politiche dimostrate negli anni, intensissimi, che intercorsero dal 1450 alla data del conclave, Enea Silvio Piccolomini fu eletto pontefice il 19 agosto del 1458. Si schierarono in suo favore il cardinal Colonna e i due cardinali nipoti di Callisto III. Incoronato il 3 settembre[2], il nuovo papa scelse come nome pontificale "Pio" in omaggio non tanto a San Pio I, quanto al tanto amato Enea virgiliano, il cui appellativo era ''Pius''.
Pinturicchio, Pio II benedicente, particolare tratto dal ciclo d'affreschi della Libreria Piccolomini della Cattedrale di Siena.
Nonostante i soli 53 anni d'età, la salute del papa umanista non era buona: affetto da gotta e da altri acciacchi[2], Pio era consapevole del suo precario stato di salute, e proprio per questo motivo si buttò anima e corpo per realizzare il vasto piano di riforme e la creazione della grande coalizione europea volta a scacciare i turchi da Costantinopoli.Dopo aver riconosciuto Ferdinando d'Aragona (figlio di Alfonso V d'Aragona) quale erede al trono napoletano, nell'ottobre del 1458 Pio riunì un congresso dei rappresentanti dei principi cristiani a Mantova[14] con la bolla Vocavit nos[2], per intraprendere un'azione comune contro i Turchi Ottomani che avevano conquistato definitivamente Costantinopoli e stavano per prendere possesso di tutto l'Impero bizantino, sotto la guida di Maometto II. A tal fine, il 19 gennaio 1459[2] il Papa istituì un nuovo ordine religioso cavalleresco, l'Ordine di Santa Maria di Betlemme.
Il congresso invece fallì gli obiettivi per cui era stato ideato: Milano era assorbita dal tentativo di prendere Genova; Firenze consigliò cinicamente al Papa di lasciare che turchi e veneziani si logorassero a vicenda; i regni di Francia e Inghilterra erano impegnati l'uno nella lotta mortale con il Ducato di Borgogna, l'altro nella guerra civile (chiamata guerra delle due rose). Inoltre Luigi XI di Francia, risentito per il fatto che Pio II preferì Ferdinando d'Aragona al candidato francese Renato I d'Angiò per il trono di Napoli, continuò nella sua politica anti-romana sbandierando la pragmatica sanzione di Bourges del 1438, manifesto estremo del gallicanesimo francese[14]. Infine, la Germania, dal Tirolo alla Pomerania, era agitata da complotti antipapisti e anti-imperiali. Pio II venne coinvolto suo malgrado in una serie di dispute con il re di Boemia e vertice del movimento hussita Giorgio Podiebrady, che aspirava a diventare re dei Romani al posto di Federico d'Asburgo[14]. Il pontefice dovette fronteggiare anche Sigismondo conte del Tirolo, che si oppose alla linea riformatrice propugnata da Niccolò Cusano. Di fronte allo scarso interesse delle potenze occidentali a partecipare ad una nuova crociata contro gli Ottomani, Pio II fece circolare in Europa, a scopo polemico, una lettera al Sultano, Maometto II, in cui offriva al signore turco - una volta convertitosi al cristianesimo romano - il titolo di imperatore romano, per il quale in occidente nessuno era più degno agli occhi di Pio II. Pio era inconsapevolmente vicino alla sua fine, e il suo malessere probabilmente portò alla febbrile impazienza con la quale, il 18 giugno 1464[2], partì per Ancona allo scopo di condurre la crociata di persona. Pio soffriva di febbre quando lasciò Roma, l'esercito crociato si sciolse ad Ancona alla ricerca di un trasporto e, quando infine giunse la flotta veneziana, il Papa morente poté solamente vederla dalla finestra della sua camera. Spirò due giorni dopo, il 14 agosto 1464[2]. Gli successe papa Paolo II. Il suo corpo fu sepolto nella Cappella di San Gregorio Magno in San Pietro per poi essere traslato, assieme al corpo del nipote Pio III, da papa Paolo V nella Basilica di Sant'Andrea della Valle[16]. Il monumento funebre ed il sarcofago permangono, ma il corpo è andato perso durante un restauro nel corso del Settecento.
Pio fu uno dei più interessanti successori di Pietro. Il pontefice non si dimostrò soltanto un eccezionale uomo di lettere e uno degli uomini più colti della sua epoca, ma anche una personalità camaleontica, capace di assumere il colore delle circostanze che gli stavano attorno. Mentre competeva con ogni altro uomo in industriosità, prudenza, saggezza e coraggio, eccelse nella semplicità dei gusti, nella costanza degli affetti, nella gentile allegria, nella magnanimità e nella pietà. E tali virtù non erano frutto di un semplice calcolo politico, ma la conseguenza di una "conversione morale profonda e duratura"[22] grazie alla quale si accinse "nel mettere al servizio non solo della propria ascesa sociale, ma anche del bene comune, le proprie doti".
Una facoltà peculiare di Enea Piccolomini fu quella di adattarsi perfettamente a qualsiasi incarico venisse chiamato ad occupare. Fu una sua fortuna che ogni passo nella vita lo aveva posto in circostanze che si appellavano sempre più alla parte migliore della sua natura, un appello al quale non mancò mai di rispondere. L'avventuriero poco scrupoloso e il narratore licenzioso degli anni precedenti l'ascesa al Soglio pontificio, sedette in modo abbastanza naturale sullo scranno di San Pietro, e dalle risorse del suo carattere versatile produsse senza sforzo apparente tutte le virtù e le qualità richieste dal suo nuovo stato.
Come capo della Chiesa fu abile e sagace, e mostrò di comprendere le condizioni alle quali poteva essere mantenuto il suo monopolio del potere spirituale; le sue idee erano lungimiranti e liberali; e si fece influenzare poco dai fini personali. Pio è interessante in particolare come il tipo di studioso e pubblicista che si fa strada per la sua forza intellettuale, facendo intravedere quell'età di là da venire in cui la penna deve essere più forte della spada; e non di meno come la figura in cui, più che in ogni altra, lo spirito medioevale e quello e dove il secondo prende definitivamente il sopravvento sul primo.
Paolo II, nato Pietro Barbo (Venezia, 23 febbraio 1417 – Roma, 26 luglio 1471), fu il 211º papa della Chiesa cattolica dal 1464 alla morte
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