Elesse il 1° settembre 1931 Vittorio Consigliere, cappuccino, vescovo di Ascoli.
Papa Pio XI (in latino: Pius PP. XI, nato Achille Ambrogio Damiano Ratti; Desio, 31 maggio 1857 – Città del Vaticano, 10 febbraio 1939) è stato il 259º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica dal 1922 alla sua morte. Dal 1929 fu il 1º sovrano del nuovo Stato della Città del Vaticano. Nato il 31 maggio 1857, a Desio, nella casa che attualmente è sede del Museo Casa Natale Pio XI e del "Centro Internazionale di Studi e Documentazione Pio XI" (al civico 4 di via Pio XI, all'epoca via Lampugnani). Quarto di cinque figli, viene battezzato il giorno dopo la nascita, nella prepositurale dei Santi Siro e Materno con il nome di Achille Ambrogio Damiano Ratti (il nome Ambrogio in onore del nonno paterno, suo padrino di battesimo). Il padre Francesco fu attivo - con non molto successo come attestato dai continui trasferimenti - quale direttore in vari stabilimenti per la lavorazione della seta, mentre la madre Teresa Galli, originaria di Saronno, era la figlia di un albergatore. Avviato alla carriera ecclesiastica dall'esempio dello zio Don Damiano Ratti, Achille studiò a partire dal 1867 nel seminario di Seveso, poi in quello di Monza, attualmente sede del Liceo Ginnasio Bartolomeo Zucchi. Si prepara per la maturità presso il Collegio San Carlo e supera gli esami presso il Liceo Parini[1] Dal 1874 fece parte dell'ordine terziario francescano. Nel 1875 inizia gli studi teologici; i primi tre anni nel Seminario Maggiore di Milano e l'ultimo nel Seminario di Seveso. Nel 1879 è a Roma presso il Collegio Lombardo. Fu ordinato sacerdote il 20 dicembre 1879 a Roma dal cardinale Raffaele Monaco La Valletta. Frequentò assiduamente biblioteche e archivi, in Italia e all'estero. Fu dottore della Biblioteca Ambrosiana[2] e dall'8 marzo 1907 prefetto della stessa biblioteca. Intraprese studi di vasta portata: gli Acta Ecclesiae Mediolanensis, la collezione completa degli atti dell'arcidiocesi di Milano, di cui pubblicò i volumi II, III e IV rispettivamente nel 1890, nel 1892 e nel 1897 e il Liber diurnus Romanorum Pontificum, una collezione di formule utilizzate nei documenti ecclesiastici. Scoprì anche la biografia più antica di sant'Agnese di Boemia e per studio soggiornò a Praga, e a Savona, casualmente, scoprì gli atti di un concilio provinciale milanese[4] del 1311, di cui si era persa memoria. Ratti fu uomo di vasta erudizione, ottenne infatti tre lauree nei suoi anni di studio romani: in filosofia all'Accademia di San Tommaso d'Aquino di Roma, in diritto canonico alla Università Gregoriana e teologia all'Università La Sapienza. Aveva inoltre una forte passione sia per gli studi letterari, dove preferiva Dante e Manzoni, sia per gli studi scientifici, tanto che era stato in dubbio se intraprendere lo studio della matematica; a tal proposito fu grande amico e, per un certo periodo collaboratore di don Giuseppe Mercalli, noto geologo e creatore dell'omonima scala dei terremoti, che aveva conosciuto come insegnante nel seminario di Milano. Ratti fu anche un valido educatore, e non solo nell'ambito scolastico. Dal 1878 fu professore di matematica al seminario minore.[6]
Mons. Ratti, che aveva studiato l'ebraico al corso del seminario arcivescovile e aveva approfondito gli studi con il rabbino capo di Milano Alessandro Da Fano, divenne docente di ebraico in seminario nel 1907 e mantenne l'incarico per tre anni.[7] Come docente portava i suoi allievi nella Sinagoga di Milano, affinché familiarizzassero con l'ebraico orale, iniziativa ardita che era inusuale nei seminari.[8]
Come cappellano del Cenacolo di Milano, una comunità religiosa dedita all'educazione delle ragazze (incarico tenuto dal 1892 al 1914), ebbe modo di esercitare un'attività pastorale ed educativa molto efficace, entrando in contatto con fanciulle e ragazze di ogni stato e condizione, ma soprattutto con la buona società milanese: i Gonzaga, i Castiglione, i Borromeo, i Della Somaglia, i Belgioioso, i Greppi, i Thaon di Revel, gli Jacini, gli Osio, i Gallarati Scotti.
Questo ambiente era attraversato da opinioni diverse: alcune famiglie erano più vicine alla monarchia e al cattolicesimo liberale, altre erano intransigenti, in linea con l'"Osservatore Cattolico" di don Davide Albertario. Pur non manifestando un'esplicita simpatia per nessuna delle due correnti, il giovane don Ratti ebbe rapporti assai stretti con i Gallarati Scotti, che erano intransigenti. Fu catechista e precettore del giovane Tommaso, figlio di Gian Carlo, principe di Molfetta, e di Maria Luisa Melzi d'Eril, che in seguito diventerà un noto diplomatico e scrittore. Le tensioni tra cattolici liberali e intransigenti erano comuni nell'ambiente cattolico dell'epoca, basti ricordare che Achille Ratti aveva ricevuto la tonsura e il diaconato dall'arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana, il protagonista della crisi che porta il suo nome. Fra i suoi educatori ebbe don Francesco Sala, che teneva il corso di teologia dogmatica sulla base di un rigoroso tomismo e don Ernesto Fontana, che insegnava teologia morale con posizioni antirosminiane.[10] In questo ambiente don Ratti sviluppò una tendenza antiliberale, che espresse ad esempio nel 1891 in occasione di una conversazione informale con il cardinal Gruscha, arcivescovo di Vienna: «Il vostro paese ha la fortuna di non essere dominato da un liberalismo anticlericale, né da uno Stato che cerca di legare la Chiesa con catene di ferro».Dopo il 1904 Tommaso Gallarati Scotti divenne rappresentante del modernismo, la dottrina secondo cui sarebbe necessario un «adattamento del Vangelo alla condizione mutevole dell'umanità» e nel 1907 fondò la rivista "Il Rinnovamento". Mentre papa Pio X pubblicava l'enciclica Pascendi che condannava il modernismo, mons. Ratti cercava di mettere in guardia l'amico, fungendo da mediatore e correndo il rischio di attirarsi i sospetti degli antimodernisti intransigenti. Tommaso Gallarati Scotti aveva già deciso di dimettersi dalla rivista, quando fu colpito dalla scomunica.[12] La Santa Sede indagò sulla responsabilità dell'arcivescovo Andrea Carlo Ferrari in merito alla diffusione delle idee moderniste nella sua arcidiocesi e mons. Ratti lo dovette difendere davanti al papa e al cardinale De Lai.
Ratti fu pure un appassionato alpinista, scalò diverse vette delle Alpi e fu il primo - il 31 luglio 1889 - a raggiungere la cima del Monte Rosa dalla parete orientale; il 7 agosto 1889 scala il Monte Cervino, e a fine luglio 1890 il Monte Bianco, aprendo la via successivamente chiamata "Via Ratti - Grasselli". Papa Ratti fu un assiduo e appassionato frequentatore del gruppo delle Grigne e per molti anni, a cavallo dei due secoli, fu ospite della parrocchia di Esino Lario, base logistica delle sue escursioni. Le ultime scalate del futuro Papa risalgono al 1913. Per l'intero periodo Ratti fu membro, collaboratore e redattore di articoli per il Club Alpino Italiano. Lo stesso Ratti disse dell'alpinismo che "non fosse cosa da scavezzacolli, ma al contrario tutto e solo questione di prudenza, e di un po' di coraggio, di forza e di costanza, di sentimento della natura e delle sue più riposte bellezze"[14]. Appena eletto Papa, l'Alpine Club di Londra cooptò Pio XI come proprio socio, motivando tale invito con le tre ascensioni alle più alte cime alpine (l'invito fu declinato, pur con il ringraziamento del Papa). Ratti, nel 1899, ebbe un colloquio con il famoso esploratore Luigi d'Aosta Duca degli Abruzzi per partecipare alla spedizione al Polo Nord che il Duca stava organizzando. Ratti non venne preso, si dice, perché un sacerdote, per quanto eccellente alpinista, avrebbe intimidito gli altri compagni di viaggio, rudi uomini di mare e montagna. Nel 1935, venendo meno al rigido protocollo dello Stato Vaticano, durante la cerimonia d'inaugurazione della Scuola centrale militare di alpinismo di Aosta, inviò un telegramma di felicitazioni. La profonda competenza negli studi portò Ratti all'attenzione di papa Leone XIII. Nel giugno 1891 e nel 1893 fu così invitato a partecipare ad alcune missioni diplomatiche al seguito di monsignor Giacomo Radini-Tedeschi in Austria e in Francia. Ciò avvenne su segnalazione dello stesso Radini-Tedeschi, il quale aveva studiato con Ratti presso il Pontificio Seminario Lombardo di Roma. Nel 1888 entrò a far parte del collegio dei dottori della Biblioteca Ambrosiana, per diventarne prefetto nel 1907. Il 6 marzo 1907 fu nominato prelato di Sua Santità con il titolo di monsignore. Intanto nel 1894 era entrato a far parte degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo, un istituto di sacerdoti secolari profondamente milanese, radicato nella spiritualità di san Carlo Borromeo e sant'Ignazio di Loyola.[17] Agli esercizi spirituali ignaziani don Ratti resterà sempre legato, ad esempio mediterà gli esercizi del 1908, del 1910 e del 1911 presso i gesuiti di Feldkirch, in Austria. Chiamato da Pio X a Roma, è dapprima, l'8 novembre 1911, viceprefetto con diritto di successione, e successivamente, il 27 settembre 1914, regnante Benedetto XV, prefetto della Biblioteca Vaticana. Nel concistoro del 13 giugno 1921 Achille Ratti fu nominato arcivescovo di Milano e lo stesso giorno fu creato cardinale del titolo dei Santi Silvestro e Martino ai Monti. Prese possesso dell'arcidiocesi l'8 settembre. Nel suo breve episcopato dispose che il Catechismo di Pio X dovesse essere l'unico usato nell'arcidiocesi, inaugurò l'Università Cattolica del Sacro Cuore e iniziò la fase diocesana della causa di canonizzazione di padre Giorgio Maria Martinelli, il fondatore degli Oblati di Rho. Achille Ratti fu eletto papa il 6 febbraio 1922 alla quattordicesima votazione. Il conclave era stato in effetti contrastato: da un lato i conservatori puntavano sul cardinale Merry del Val, ex Cardinal Segretario di Stato di papa Pio X, mentre i cardinali più "liberali" sostenevano il Cardinale Segretario di Stato in carica, il cardinale Pietro Gasparri. Dopo l'elezione, il papa, indossando l'abito corale, si affacciò dalla loggia esterna della basilica vaticana e non da quella interna, come i suoi tre predecessori: affacciandosi rivolto verso Piazza San Pietro e quindi la città di Roma, indicò la sua volontà di risolvere la questione romana, ovvero la controversia relativa al ruolo di Roma, contemporaneamente capitale d'Italia e sede del potere temporale del papa. La sua prima enciclica Ubi arcano Dei consilio, del 23 dicembre 1922, manifestò il programma del suo pontificato, peraltro ben riassunto nel suo motto "pax Christi in regno Christi", la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Detto altrimenti, a fronte della tendenza a ridurre la fede a questione privata, papa Pio XI pensava invece che i cattolici dovessero operare per creare una società totalmente cristiana, nella quale Cristo regnasse su ogni aspetto della vita. Egli intendeva dunque costruire una nuova cristianità che, rinunciando alle forme istituzionali dell'Ancien Régime, si sforzasse di muoversi nel seno della società contemporanea. Nuova cristianità che soltanto la Chiesa cattolica costituita da Dio e interprete delle verità rivelate era in grado di promuovere.
Questo programma fu completato dalle encicliche Quas primas (11 dicembre 1925), con la quale fu pure istituita la festa di Cristo Re e Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928), sul culto del Sacro Cuore.
In campo morale, le sue encicliche più importanti sono ricordate come le "quattro colonne". Nella Divini Illius Magistri del 31 dicembre 1929 sancisce il diritto della famiglia di educare i figli, come diritto originario e anteriore a quello dello Stato. Nella Casti Connubii del 31 dicembre 1930 ribadisce la dottrina tradizionale il sacramento del matrimonio: i primi doveri degli sposi devono essere la reciproca fedeltà, il mutuo e caritatevole amore e la retta e cristiana educazione della prole. Dichiarò moralmente illecita l'interruzione di gravidanza mediante aborto e, all'interno delle relazioni coniugali, ogni rimedio per evitare la procreazione. In campo sociale intervenne con l'enciclica Quadragesimo Anno, che celebrava il quarantesimo anniversario della Rerum Novarum di papa Leone XIII, insegnando che «per evitare l'estremo dell'individualismo da una parte, come del socialismo dall'altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro». Questi tre temi, educazione cristiana, matrimonio e dottrina sociale, sono riassunti nell'enciclica Ad Catholici Sacerdotii del 20 dicembre 1935 sul sacerdozio cattolico «Il sacerdote è, per vocazione e mandato divino, il precipuo apostolo e l'indefesso promotore dell'educazione cristiana della gioventù; il sacerdote in nome di Dio benedice il matrimonio cristiano e ne difende la santità ed indissolubilità contro gli attentati e le deviazioni suggerite dalla cupidigia e dalla sensualità; il sacerdote porta il più valido contributo alla soluzione o almeno alla mitigazione dei conflitti sociali, predicando la fratellanza cristiana, a tutti ricordando i mutui doveri della giustizia e della carità evangelica, pacificando gli animi inaspriti dal disagio morale ed economico, additando ai ricchi e ai poveri gli unici beni a cui tutti possono e devono aspirare». Trattò della natura della Chiesa nell'enciclica Mortalium Animos del 6 gennaio 1928, ribandendo l'unità della Chiesa sotto la guida del Romano Pontefice:
« In quest'unica Chiesa di Cristo nessuno si trova, nessuno vi resta senza riconoscere e accettare, con l'ubbidienza, la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. »
Esponendo che l'unità della Chiesa non possa avvenire a danno della fede, auspica il ritorno alla Chiesa cattolica dei cristiani separati. Invece vieta la partecipazione dei cattolici ai tentativi di stabilire una Chiesa pancristiana, per non dare «autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall'unica Chiesa di Cristo».
Secondo Roger Aubert con le sue encicliche Pio XI aveva elaborato una «teologia per la vita», trattando i grandi problemi di ordine morale e sociale. Papa Pio XI procedette a numerose beatificazioni, e canonizzazioni, (per un totale di 496 beati e 33 santi), fra le quali quelle di Bernadette Soubirous, Giovanni Bosco, Teresa di Lisieux, Giovanni Maria Vianney e Antonio Maria Gianelli. Egli nominò pure quattro nuovi dottori della Chiesa: Pietro Canisio, Giovanni della Croce, Roberto Bellarmino e Alberto Magno. In particolare procedette alla beatificazione di 191 martiri, vittime della Rivoluzione francese, "una perturbazione universale durante la quale furono affermati, con tanta arroganza, i diritti dell'uomo". Pio XI normalizzò i rapporti con lo Stato italiano grazie ai Patti Lateranensi (Trattato e Concordato) dell'11 febbraio 1929, che ponevano fine alla cosiddetta "Questione Romana" e facevano tornare regolari i rapporti fra l'Italia e la Santa Sede. Il 7 giugno, a mezzogiorno, nasceva il nuovo Stato della Città del Vaticano, di cui il Sommo Pontefice era sovrano assoluto. Nello stesso periodo furono creati diversi Concordati con varie Nazioni europee. Non pregiudizialmente ostile a Mussolini, Achille Ratti limitò fortemente l'azione del Partito popolare favorendone lo scioglimento, e rinnegò ogni tentativo di Sturzo di ricostituire il partito. Ebbe però ad affrontare controversie e scontri con il fascismo a causa dei tentativi del regime di egemonizzare l'educazione della gioventù e per le ingerenze del regime nella vita della Chiesa. Emise l'enciclica Quas Primas dove veniva stabilita la festa di Cristo Re a ricordare il diritto della religione a pervadere tutti i campi della vita quotidiana: dallo Stato, all'economia, all'arte. Per richiamare i laici ad un maggiore coinvolgimento religioso, nel 1923 venne riorganizzata l'Azione Cattolica (di cui disse "questa è la pupilla dei miei occhi"). In campo missionario, si batté per l'integrazione con le culture locali invece dell'imposizione di una cultura occidentale.[senza fonte] Pio XI fu estremamente critico anche con il ruolo passivo tenuto in campo sociale dal capitalismo. Nella sua enciclica Quadragesimo Anno del 1931 richiamò l'urgenza delle riforme sociali già indicate quaranta anni prima da papa Leone XIII, inoltre ribadì la condanna del liberalismo e di ogni forma di socialismo.
Il primo segno di apertura Pio XI lo aveva manifestato immediatamente dopo l'elezione. Il novello Pontefice contrariamente ai suoi immediati predecessori - Leone XIII, San Pio X e Benedetto XV - decise di affacciarsi alla loggia esterna della Basilica Vaticana, cioè su Piazza San Pietro, sia pur senza dire nulla, limitandosi a benedire la folla presente, mentre i fedeli di Roma gli rispondevano con applausi e grida di gioia. Il gesto "dovuto", ma che si verificava dopo i fatti del 20 settembre 1870, era da considerare di portata storica; ciò accadeva perché Pio XI era convinto che la fine del potere temporale, sia pure in maniera "violenta" era, per la missione della Chiesa nel mondo, la liberazione dalle catene delle passioni umane.
La Questione romana incontrava non solo le preoccupazioni e le speranze dei cattolici in Italia, ma anche di tutti i cattolici del mondo, tanto da indurre zelanti sacerdoti, peraltro missionari, come per esempio don Luigi Orione, a prendere iniziative personali e scrivere più volte al capo del governo fascista, Benito Mussolini; altri sacerdoti intervennero con propri studi presso la Segreteria di Stato Vaticana, nella persona del Delegato del Papa, cardinale Pietro Gasparri.
L'11 febbraio 1929 il Papa fu l'artefice della firma dei Patti Lateranensi tra il cardinale Pietro Gasparri ed il governo fascista di Benito Mussolini. Il 13 febbraio 1929, pronunciò un discorso agli studenti e ai docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che passò alla storia per una definizione, secondo cui Benito Mussolini sarebbe stato esaltato come «l'uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare»:
Anche se, nella sua enciclica Non abbiamo bisogno, Pio XI ha definito il fascismo, il cui fondatore era notoriamente Mussolini, come «statolatria pagana». Inoltre, il fatto che la Santa Sede firmi un concordato con uno Stato non significa che ne approvi la politica, come confermato ad esempio da Pio XII nella sua allocuzione nel concistoro del 2 giugno 1945 (AAS 37 pag. 152) a riguardo del nazismo. Ma già nel 1922, prima della sua elezione a Papa nel febbraio dello stesso anno, in occasione di un'intervista concessa al giornalista francese Luc Valti (pubblicata integralmente nel 1937 su "L'illustration"), il cardinale Achille Ratti dichiarò a proposito di Mussolini: «Quell'uomo, ragazzo mio, fa rapidi progressi, e invaderà tutto con la forza di un elemento naturale. Mussolini è un uomo formidabile. Mi ha capito bene? Un uomo formidabile! Convertito di recente, poiché viene dall'estrema sinistra, ha lo zelo dei novizi che lo fa agire con risolutezza. E poi, recluta gli adepti sui banchi di scuola e in un colpo solo li innalza fino alla dignità di uomini, e di uomini armati. Li seduce così, li fanatizza. Regna sulla loro immaginazione. Si rende conto di che cosa significhi e che forza gli fornisca? Il futuro è suo. Bisognerà però vedere come tutto questo andrà a finire e che uso farà della sua forza. Che orientamento avrà, il giorno in cui dovrà scegliere di averne uno? Resisterà alla tentazione, che insidia tutti i capi, di ergersi a dittatore assoluto?». Nell’agosto 1923 Ratti confidò all'ambasciatore del Belgio che Mussolini “non è certo Napoleone, e forse neppure Cavour. Ma lui solo ha compreso di che cosa il suo paese abbia bisogno per uscire dall'anarchia in cui un parlamentarismo impotente e tre anni di guerra l'hanno gettato. Voi vedete come abbia trascinato con sé la Nazione. Possa essergli concesso di portare l'Italia alla sua rinascita”. Il 31 ottobre 1926 l'adolescente Anteo Zamboni aveva sparato a Mussolini, a Bologna, mancando il bersaglio. Papa Ratti intervenne condannando «tale criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio del suo fallimento». L'anno successivo Pio XI esaltò Mussolini come l'uomo «il quale con tanta energia governa le sorti del paese, da fare giustamente ritenere pericolare il paese stesso ogni qualvolta pericola la sua persona. Il pronto e quasi visibile intervento della Divina Provvidenza faceva sì che quella prima tempesta poté subito venir sorpassata da un vero uragano di giubilo, di rallegramenti, di azioni di grazie, per lo scampato pericolo per la perfetta, e, si può ben dire, portentosa incolumità di chi ne doveva essere la vittima», esprimendo altresì «indignazione e orrore» per l'attentato. Con i Patti Lateranensi, stipulati nel palazzo di San Giovanni in Laterano, e costituiti da due atti distinti (Trattato e Concordato) veniva messa la parola fine alla freddezza e ostilità fra i due Poteri, durate per cinquantanove anni. Con lo storico Trattato veniva data alla Santa Sede la sovranità sullo Stato della Città del Vaticano, riconoscendolo come soggetto di diritto internazionale, in cambio dell'abbandono da parte della Santa Sede di pretese territoriali sul precedente Stato Pontificio; mentre la Santa Sede riconosceva il Regno d'Italia con la capitale a Roma. A compensazione delle perdite territoriali e come supporto nel periodo transitorio, il governo garantiva (Convenzione finanziaria, allegata al Trattato) un trasferimento di denaro consistente in 750 milioni di lire in contanti e di un miliardo in titoli di Stato al 5 per cento che, investito da Bernardino Nogara sia in immobili che in attività produttive, pose le basi per l'attuale struttura economica del Vaticano. Il trattato richiamava inoltre l'articolo 1 dello Statuto Albertino, riaffermando la religione cattolica come la sola religione dello Stato. I Patti Lateranensi imponevano ai vescovi di giurare fedeltà allo Stato italiano, ma stabilivano alcuni privilegi per la Chiesa cattolica: al matrimonio religioso venivano riconosciuti effetti civili e le cause di nullità ricadevano sotto i tribunali ecclesiastici; l'insegnamento della dottrina cattolica, definita “fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica”,[34] diventava obbligatorio nelle scuole elementari e medie; i preti spretati o colpiti da censura ecclesiastica non potevano ottenere o conservare alcun impiego pubblico nello Stato italiano. Per il regime fascista i Patti Lateranensi costituirono una preziosa legittimazione. In segno di riconciliazione, nel luglio successivo, il Papa uscì in processione eucaristica solenne in piazza San Pietro. Un avvenimento del genere non accadeva dai tempi di Porta Pia. La prima uscita dal territorio della Città del Vaticano avvenne invece il 21 dicembre dello stesso anno quando, di primissima mattina, il Pontefice si recò, scortato da poliziotti italiani in bicicletta, alla basilica di San Giovanni in Laterano, per prendere ufficialmente possesso della sua cattedrale. Nel 1930 - a un anno di distanza dalla firma dei Patti Lateranensi - l'anziano cardinal Pietro Gasparri si dimise, e fu sostituito dal cardinale Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII.
Nell'aprile del 1938 Pio XI inviò a tutte le università cattoliche una condanna delle tesi razziali. Questo documento traeva origine da un progetto di condanna del razzismo, dell'ultranazionalismo, del totalitarismo e del comunismo preparato dal Sant'Uffizio nel 1936. Nel documento si condannavano otto proposizioni, di cui sei razziste. Pio XI chiese ai professori delle università di argomentare contro le proposizioni condannate. Fecero seguito articoli nelle grandi riviste teologiche internazionali e comparvero studi in proposito. La dichiarazione datata 13 aprile, fu resa pubblica il 3 maggio, il giorno della visita di Hitler a Roma, volendo con ciò il papa «opporsi frontalmente a quello che riteneva il cuore stesso della dottrina del nazionalsocialismo». Infine, quando ristabilì la Pontificia Accademia delle Scienze, chiamò il matematico ebreo Tullio Levi Civita a farvi parte fra i primi membri.
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