ASCOLI, CENTRO STORICO DI

L'origine del centro storico di Ascoli Satriano, così come oggi si osserva, può essere datato intorno al VI secolo. Infatti tra il VI e il X secolo si costituisce la grande proprietà ecclesiastica (le massae) attraverso i lasciti testamentari e le donazioni per motivi sia religiosi che fiscali: gli archivi delle Abazie benedettine di Montecassino e di Montevergine documentano abbondantemente lasciti e donazioni da parte degli Ascolani sia ai Benedettini, sia al Vescovo, sia al Capitolo Cattedrale. Con questo fattore interagiscono almeno altri due: la crisi della piccola e media proprietà contadina e il vertiginoso calo demografico. Il centro storico ascolano sorge intorno agli insediamenti monastici sulla collina Castello, all’epoca chiamata Serra. Nel medioevo il centro del paese si trovava sull’attuale collina Pompei, che si chiamava Frontino, dove aveva sede il Vescovo con la Cattedrale di S. Maria in Principio. - Ascoli all’epoca, era oggetto di continue lotte politico-religiose tra Longobardi e Bizantini, Episcopato latino ed Episcopato bizantino, monaci benedettini e monaci basiliani: una situazione che si trascina fino all’ XI secolo. Ascoli, infatti, è sotto i Bizantini dall’890 al 921, quando, in seguito alla battaglia di Ascoli dell’aprile, passa sotto i Longobardi fino al 950; ritorna, quindi, sotto i Bizantini fino al 969, quando, questi vengono sconfitti da Ottone I e il generale bizantino Abdila muore proprio ad Ascoli; è sotto i Longobardi fino al 982, allorché viene ripresa dai Bizantini, che vi dominano fino al 1041. Ma il fiscalismo bizantino rende gli Ascolani filo-normanni; infatti, nell’aprile 1041, il filonormanno Melo di Bari si rifugia ad Ascoli; l’11 gennaio 1040, muore ad Ascoli il catapano bizantino Niceforo Ducliano; e nell’autunno dello stesso anno, il nuovo catapano Michele Doceano fa impiccare esemplarmente uno degli insorti ad Ascoli. Entro questo quadro tracciato rapidamente, possiamo comprendere la formazione del centro storico, intorno al monastero basiliano sito in Vico Carrara (attualmente sulla rampa Mons. Cocchia), da parte dei servi e dei massari del monastero stesso. In questo periodo, secolo VIII, quando l’Imperatore bizantino Leone III Isaurico (717-741) lancia la campagna iconoclasta, anche i monaci basiliani di Ascoli gli resistono e nascondono l’icona della Madonna bizantina della Misericordia, poi ritrovata. Nella prima metà del secolo X i Longobardi fanno subentrare, in quel monastero, ai monaci basiliani, i monaci benedettini, tanto che, alla fine dello stesso secolo, i monaci basiliani fondano il nuovo monastero di S. Marena, nei pressi della via pubblica (oggi palazzo D’Autilia e Largo S. Marena, cioè la piazzetta). C’è una lunga serie di documenti che attestano l’evoluzione subita dal monastero di Vico Carrara, dal momento in cui vi si insediano i Benedettini:

- il 2 dicembre 999, il protospatario imperiale e catapano Gregorio Tracagnoto restituisce ai Benedettini una casa sita presso questo monastero, casa donata dal monaco ascolano Moscato (documento emesso ad Ascoli e riconfermato il 2 febbraio 1000, nell’ottobre 1011 da Basilio Mesardonite e nel marzo 1032 da Potone Argirio);
- nel marzo 1093, il prete ascolano Giovanni offre gli orti e la Chiesa di S. Nicola più una casa pro hospitio peregrinorum sempre allo stesso monastero di Vico Carrara: così i Benedettini diventano proprietari anche di quell’area e di quegli immobili che poi saranno il complesso dell’ospizio e della Chiesa di S. Agostino oggi della Misericordia);
- nel XIV secolo, con la decadenza benedettina, nel monastero di Vico Carrara, detto di S. Pietro, subentreranno i canonici lateranensi e, quando il terremoto del 1343 renderà inagibile il monastero, i Canonici lateranense si trasferirono nel complesso della Misericordia, dove, ristrutturando la ex Chiesa di S. Nicola, nel 1379, fonderanno la nuova Chiesa di S. Agostino;
- nel 1654, soppressi i Canonici lateranensi, l’intero comprensorio passerà alla mensa vescovile.

Questa è la storia del nucleo monasteriale, che sta all’origine dell’attuale centro storico ascolano. Il nucleo vescovile si trovava sull’attuale collina Pompei, nel medioevo chiamata Frontino, dove, a partire dal IX secolo, i Vescovi ascolani ristrutturarono l’antica Chiesa di S. Maria del Principio, facendone la propria Cattedrale. Qui era il centro storico di Ascoli almeno fino all’agosto 1133, quando la città fu rasa al suolo da Ruggero II, dopo aver sopportato il precedente terremoto del settembre 1087. Dall’età normanna, quindi, la vita cittadina si sposta sulla collina castello, all’epoca detta Serra, anche se la cattedrale era ancora in piedi, ma ormai era fuori paese! Infatti soltanto nel 1426, finalmente il Vescovo ascolano Giacomo si decide a scrivere a Papa Martino V per chiedere il convento e la Chiesa francescana dei Frati Francescani Conventuali, per farne Cattedrale ed Episcopio, con la possibilità di usufruire dell’antistante piazza del mercato, l’attuale Via Duomo. Benché Papa Martino V incaricasse dell’affare il vescovo di Lucera, trascorsero ben trent’anni di schermaglie con i francescani, finché, il 24 settembre 1455, dopo che il vescovo ascolano Giacomo era ritornato alla carica, chiedendo l’appoggio del marchese di Venosa e del re Alfonso d’Aragona, il Papa Callisto III emanava la Bolla della cui esecuzione incaricava il Vescovo di Troia. I Frati Francescani Conventuali, quindi, furono costretti a trasferirsi nell’ex monastero delle monache benedettine con annessa Chiesa di S. Giovanni Battista. Questo Convento, quando nel 1809 i Conventuali furono soppressi, fu incamerato dal Comune, che poi lo donò, il 12 maggio 1828, all’orfanotrofio femminile di S. Giuseppe e S. Teresa; questo orfanotrofio dopo il terremoto del 14 agosto 1851 che rese inagibili i locali, fu trasferito a Cerignola. La Chiesa francescana della Natività, poi divenuta Cattedrale, sorgeva sull’Area di una precedente chiesetta dallo stesso titolo, distrutta nell’862 dall’incendio appiccato dai Saraceni. La Chiesa di S. Maria del Principio, ex Cattedrale di Ascoli, non venne affatto abbandonata nel XV secolo, perché fino al 1666 funse da Parrocchia. L’abbandono effettivo, comunque, risale al 1729, ma i ruderi si vedevano ancora nel secolo scorso; d’altra parte lì sorgeva il Seminario nei secoli XVII e XVIII, perché solo dopo il terremoto del 2 luglio 1883 il Vescovo Domenico Cocchia costruì l’attuale seminario, recuperando l’area a ridosso del monastero di vico Carrara. Durante l’età normanna avvenne l’evoluzione del centro storico di Ascoli in funzione dell’economia curtense del villaggio che si andò sviluppando intorno al nucleo signorile del Castello. Va premesso che il tipico modo del popolamento ascolano fu determinato dal dominio del latifondo signorile ed ecclesiastico: i contadini abitavano nel centro storico, da cui quotidianamente partivano per recarsi al lavoro sulle terre padronali o sulle parcelle concesse ai lavoratori. Questo sistema, che facilitava il controllo dei contadini, era sorto però a causa delle necessità di difesa degli Ascolani. Se poi consideriamo la carta sociale dell’Ascoli medievale, notiamo che essa si identificava per lo più con quella dell’insediamento e delle sue componenti socioprofessionali: il forte legame tra domicilio e lavoro, la loro prossimità topografica (casa e bottega), conservò, infatti, l’antico tessuto del centro storico ascolano nella stessa direzione agirono i raggruppamenti familiari, clientelari, religiosi ed etnici; l’economia del vicolo è l’economia del vincolo, sicché la collina Castello si presentava come una ragnatela e un alveare in fieri. L’età normanno-sveva è un periodo di forte espansione demografica ed edilizia per Ascoli, pensiamo, infatti, alla mobilitazione di risorse prodotta dall’edificazione del castello e della futura Cattedrale. Nel 1046, moriva ad Ascoli Guglielmo Fortebraccio, conte di Puglia e primogenito di Tancredi d’Altavilla; nel 1058, la carestia fu tale che la popolazione fu costretta a macinare ghiande per nutrirsi; nel XII secolo, metà paese era feudo normanno, l’altra metà era feudo dei Benedettini di Venosa, cui doveva fornire 90 cavalieri, 230 fanti e 600 once d’oro; nello stesso periodo, vivevano ad Ascoli una quarantina di famiglie ebraiche: queste attendevano alla tintoria, alla produzione di orciuoli, otri e lacci di seta; prestavano denaro al 10% di interesse ed erano soggetti al plateatico; il Capitolo della Cattedrale di Ascoli riscuoteva il plateatico e il diritto di decima; la gestione federiciana strangolò l’artigianato e il lavoro autonomo, riducendo gli Ascolani alla sola produzione di granaria: la popolazione sopportò dei costi terribili in seguito alla grave carestia prodotta dal rigido inverno del 1234, che gelò i seminativi, fece strage di bestiame, distrusse oliveti e vigneti. Se a tutto ciò aggiungiamo il monopolio regio sul ferro, sull’acciaio, sulla pece, sul sale e sulla seta, le forti tasse sulle stalle, sul sapone e sulla molitura della galla (usata in tintoria dagli ebrei di Ascoli, abbiamo un quadro di quella che poteva essere la vita della popolazione del centro storico. La situazione peggiora decisamente nell’età angioina: il peso fiscale era talmente insopportabile che, nel 1301, quattro sindaci ascolani furono inviati presso il re Carlo II d’Angiò, per chiedere un qualche alleggerimento; venne così fissata una tassa unica sul commercio, sull’industria e sulle professioni. La popolazione ascolana continuava ad essere schiacciata da tasse e carestie periodiche come quella prodotta dagli otto mesi di siccità del 1322. La capacità di sopportazione era al limite, tanto che, quando il re Ludovico d’Ungheria soggiornò ad Ascoli presso l’Ospizio della Misericordia, nel 1347, la borghesia ascolana gli chiese di liberare Ascoli dal dominio feudale dei Sabrano. Ma, partito il re, il feudatario fece trucidare i ribelli nel castello, dopo averli espropriati dei loro beni. L’anno 1347 fu decisivo per l’equilibrio demografico del centro storico: la peste nera decimò la popolazione fino all’anno seguente; la conseguente mancanza di manodopera nella campagne produsse lo sviluppo e il predominio dell’allevamento e, quindi, una espulsione di contadini ascolani dalle terre; questi contadini, infine, immigrarono nel centro storico e lo rivitalizzarono. Comunque, la borghesia ascolana era fortemente penalizzata, perché il commercio cerealicolo era dominato dai banchieri fiorentini Acciaiuoli, che finanziavano la Corona, ottenendone privilegi e feudi: nel 1390 Benedetto Acciaiuoli, conte di Noia, sposava Roberta di Sabrano, diventando feudatario di Ascoli. A completare il quadro della vita ascolana, in età angioina, aggiungiamo il terremoto del 17 luglio 1360, i cui costi di ricostruzione gravarono fiscalmente sulla popolazione. In età aragonese la tassazione che ne caratterizzò la politica costringendo ogni famiglia ascolana a versare il valore di acquisto di un tomolo di sale, si saldò con la riduzione del seminativo a favore del pascolo. E, tuttavia, il rendimento dei terreni crebbe per la messa a coltura di nuove terre mediante il contratto di pastinato (che prevedeva la messa a coltura di terre abbandonate, dispensando il proprietario da ogni spesa: faceva tutto il coltivatore che era esentato da canoni fino a miglioria ottenuta). Così furono messi a coltura terreni molto distanti dal paese, costringendo i contadini ascolani a compiere ogni giorno un lungo tragitto, con tutti gli inconvenienti connessi: per esempio, il mastrogiurato ascolano (che faceva la guardia de nocte), al tramonto, faceva suonare tre volte la campana; dopo di che, chi era fuori veniva multato o carcerato: caso frequente per i contadini. Quest’obbligo al rientro spiega la concentrazione edilizia che si produsse nel centro storico, in età aragonese. In questi anni, segnati dal terremoto del 5 dicembre 1456, ha inizio la lotta del ceto medio ascolano (più impiegatizio che commerciale) con i nobili per la questione del Comune e per venir considerato, ai fini fiscali, equiparato al ceto nobiliare anziché al popolo.(Francesco Capriglione).