Fondatrice della suore della Carità.In occasione della peregrinatio per l’Italia delle reliquie della Santa queste sono state portate anche ad Ascoli dal 10 al 13 febbraio1998 e sostate in Cattedrale. Per l’occasione il Parroco don Leonardo Cautillo, con le Suore della carità presenti in Ascoli presso la Chiesa di S.Giovanni Battista, sulla Collina Castello, hanno preparato il popolo con un triduo di preghiere. All’arrivo le reliquie sono state accolte in Largo Aulisio dal Vescovo Mons. Giovanni Battita Pichierri, dal Parroco della Cattedrale e dal Sindaco di Ascoli Dott. Angelo Damiano Infante e in processione sono state portate nella chiesa di S.Giovanni Battista dove si trovano le Suore della Carità. Dove è stata celebrata l’Eucarestia.Il giorno successivo, giovedì 11 febbraio, le reliquie sono state trasfrite, in processione, nella attedrale di Ascoli Per l’occasione si è tenuta una conferenza ad opera del Sacerdote di Cerignola don Giacomo Cirulli sulla “Voce dei nuovi poveri”, una giornata vocazionale, un incontro con la Superiora delle Suore della Carità Sr. Giusy Allìa e un recital, nel salone Santissimo, ad opera dei giovani dell’oratorio ANSPI S.Maria diretti dalla Dirigene Anspi Prof.ssa Filomena Flagella. Le reliquie della Santa sono ritornate ad Ascoli Satriano nei giorno 9,10 e11 ottobre 2009 con l'arrivo del busto reliquiario in Largo Aulisio e in processione, guidata dal Vicario Episcopale Mons. Leonerdo Cautillo, sono state portate in cattedrale passando dalla restaurata Chiesa comunale di S.Giovanni Battista dove ha porto il saluto il Sindaco di Ascoli il dr. Antonio Rolla. Nella Cattedrale i fedeli hanno venerato la Santa. Giorno 10 ottobre le reliquie sono state venerate dagli alunni delle scuole di Ascoli, mentre nel pomerifggio dello stesso giorno la Consigliera Provinciale delle Suore della Carità Sr. Francesca Mastromatteo ha porto i suoi saluti e il professore e storico ascolano Franco Capriglione ha tenuto la seguente conferenza in ricordo dei 160 anni di presenza ad Ascoli delle Suore della Carità di Santa Giovanna Andita Thouret:" I Miserabili di S. Giovanna Andita tra la rivoluzione francese e la restaurazione borbonica". Le reliquie sono rimaste ad Ascoli fino alle ore 20,30 quando sono ripartite per Cava dei Tirreni, dopo la celebrazione della S. Messa officiata dal Vescovo della Diocesi di Cerignola-Ascoli Satriano Mons. Felice di Molfetta.
RELAZIONE DEL PROF. FRANCESCO CAPRIGLIONE:
I MISERABILI DI JEANNE-ANTIDE THOURET TRA RIVOLUZIONE FRANCESE E RESTAURAZIONE BORBONICA
PREMESSA
1. La prospettiva di questa mia relazione è volutamente parziale: presenterò l’attività sociale delle Suore della Carità da un punto di vista esclusivamente sociologico, muovendomi lungo un itinerario che prevede tre tappe: a) l’attività sociale delle Suore della Carità tra i miserabili della Francia; b) tra i miserabili di Napoli; c) tra i miserabili di Ascoli Satriano.
2. Dopo aver letto le varie biografie della Thouret, ciò che mi ha colpito di più della sua personalità è stata la virtù della fortezza. La sua immagine mi ha richiamato alla mente quel versetto biblico del libro dei Proverbi: “Mulierem fortem quis inveniet? Procul et de ultimis finibus pretium eius . Jeanne-Antide Thouret, una donna forte, inestimabilmente preziosa e apprezzata.
3. Nasce il 17 novembre 1765, a Sancey-le-Long, e, all’età di 22 anni, il 1° novembre 1787, entra nella Compagnia delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli. Le Figlie della Carità, fondate nel 1633 da Vincenzo de’ Paoli e specializzate nelle attività assistenziali e ospedaliere, dirigono piccoli centri di beneficenza urbani e rurali, si recano a visitare i poveri e insegnano i primi elementi della scrittura e del calcolo ai bambini .
PRIMA TAPPA: TRA I MISERABILI DELLA FRANCIA
Qual è la condizione sociale della Francia, quando la ventiduenne Thouret entra tra le Figlie della Carità?
• L.-S. MERCIER, Tableau de Paris, Paris 1788:
A Parigi, nel 1788, “quelli che vengono chiamati uomini di fatica sono tutti stranieri. I savoiardi sono decoratori, lucidatori e segantini; gli alverniati, quasi tutti acquaioli; i limosini, muratori; i lionesi sono di solito facchini o portantini; i normanni, tagliapietre, pavimentatori e merciai ambulanti, aggiustatori di porcellane e mercanti di pelli di coniglio; i guasconi, parrucchieri o garzoni di barbiere; i lorenesi, ciabattini ambulanti. I savoiardi alloggiano nei sobborghi, sono distribuiti per camerate, ognuna delle quali è diretta da un capo o da un vecchio savoiardo, che è l’economo e il tutore dei bambini, finché questi non siano in età di governarsi da soli” .
Un alverniate, che compra pelli di coniglio al dettaglio per rivenderle all’ingrosso, circola “sovraccarico in maniera tale che è impossibile cercarne la testa e le braccia” , nascoste sotto il fardello.
I lavori più umili e pesanti vengono lasciati ai nuovi arrivati: nordafricani e portoricani costituiscono un insieme di miserabili che si logorano rapidamente, per cui rapidamente devono essere sostituiti.
La mortalità è di ventimila persone all’anno, dei quali quattromila finiscono i loro giorni all’ospedale, cioè all’Hôtel-Dieu o a Bicêtre: questi morti “cuciti in una tela di sacco” , vengono sotterrati alla rinfusa a Clamart, in una fossa comune cosparsa di calce viva.
Un carro trainato a braccia, ogni notte, porta verso sud i morti dell’Hôtel-Dieu, un ospedale con 1.200 letti per cinquemila o seimila malati, per cui “il nuovo arrivato viene coricato accanto a un moribondo o a un cadavere” .
Su trentamila nati, a Parigi, ne vengono abbandonati oltre settemila. Questi bambini vengono portati all’ospedale da un facchino “in una cassetta imbottita, che può contenerne tre. Stanno in piedi, fasciati, respirando attraverso un’apertura in alto. Quando la cassetta viene aperta, uno spesso è morto. Il portatore termina il suo viaggio con gli altri due, impaziente di sbarazzarsi del fardello. Poi riparte subito per ricominciare la stessa fatica che è il suo guadagno” . Molti dei bambini abbandonati provengono dalla provincia.
• Nella filanda a vapore installata dal duca d’Orléans nel 1790, lavorano moltissimi bambini e bambine.
• Nel 1806, a Aix-la-Chapelle, Laurent Jecker impianta una fabbrica di spilli, in cui impiega soltanto bambini.
• Durante l’età napoleonica, molti imprenditori dell’impero attingono dagli orfanotrofi di Parigi e dei dipartimenti la manodopera a buon mercato di cui hanno bisogno.
• La rivoluzione francese produce profondi cambiamenti nella vita della Thouret.
• Il decreto sulla secolarizzazione dei religiosi del 13 febbraio 1790 concede alle religiose di rimanere in convento e garantisce la conservazione dello status quo alle congregazioni che si occupano dell’educazione pubblica e delle istituzioni di carità, per cui la Thouret può esercitare la sua attività caritativa negli ospedali di Langres e nella casa madre del parigino borgo di Saint Denis fino al 1792, allorché ne viene espulsa.
• Nel 1790, è infermiera a Parigi, nell’ospizio degli Incurabili, da dove viene espulsa nel 1791.
• Al principio del 1792, è infermiera nell’ospedale di Bray-sur-Somme, dove, in seguito al decreto del 4 aprile 1792, è costretta ad abbandonare l’abito religioso: il 18 agosto 1792, vengono soppresse le congregazioni religiose dedite all’insegnamento e all’assistenza, che sono sfuggite al decreto del 7 febbraio 1790.
• Poi, il 30 ottobre 1793, allorché il governo rivoluzionario decreta lo scioglimento della congregazione vincenziana, le religiose sono costrette a disperdersi e a far ritorno in famiglia, ma non rompono i legami della comunità e non cessano di applicare segretamente la loro regola, ricorrendo a innumerevoli sotterfugi.
• Tornata a Sancey, vi organizza una scuola per poveri in un granaio, per cui viene ammonita dal locale Comitato di sorveglianza e arrestata.
• Vi cura anche i malati, per cui riceve lettere minatorie da parte dei medici del luogo.
• Ripara con gli ammalati in Svizzera e in Germania. Poi, rientrata a Sancey, nel mese di agosto del 1797, vi apre una scuola.
• Si stabilisce a Besançon, dove, l’11 aprile del 1799, avvia una scuola gratuita per le fanciulle povere, una farmacia e una mensa per i poveri, ricostituendo la congregazione vincenziana con un nuovo statuto e con la denominazione di Suore della Carità, le cui finalità sono l'istruzione della gioventù, la cura dei malati e l'assistenza ai poveri.
• La scuola della Thouret, diversamente da tutte le scuole per ragazze povere , insegna loro a leggere, a scrivere e a far di conto, dando un enorme contributo all’emancipazione femminile e accogliendo tutte le ragazze a prescindere dalle personali convinzioni politiche e religiose.
• Le Suore della Carità, oltre ai tre voti (di castità, povertà e obbedienza), hanno anche un quarto voto: essere al servizio dei poveri.
• Il 23 settembre 1802, viene affidato alle Suore della Carità l’ospizio di Bellevaux a Besançon, dove convivono mendicanti e cinquecento detenuti in una condizione infernale, come si legge nel rapporto ufficiale del 25 marzo 1800 del commissario presso i tribunali Antoine Nodier, conservato negli Archivi Dipartimentali del Doubs:
“Un disordine abominevole regna a Bellevaux. Il custode e i secondini se ne stanno senza attività e senza energia; i detenuti, senza disciplina e senza freno. Ogni giorno forti clamori avvertono il quartiere che i detenuti si picchiano e s’accoppano. Le guardie accorrono, ma così come sono composte oggi, costituiscono lo zimbello dei tumultuanti. Gli amministratori municipali sono pregati di intervenire per stabilire l’ordine; la loro autorità è tenuta in nessun conto; sono fischiati e insultati. Non è più una casa di giustizia e di detenzione; i condannati ci rimangono finché non vien loro la voglia di uscire. C’è di più: il custode e i secondini pare se la intendano per favorire l’evasione dei condannati”.
• Con l’arrivo delle Suore della Carità tutto cambia a Bellevaux: le detenute diventano lavandaie, cucitrici, cuciniere; per gli uomini vengono montati dei telai per tessere la tela e le stoffe. Chi lavora riceve un terzo di quanto ricavato con la vendita, mentre gli altri due terzi vengono impiegati per procurare loro una minestra di verdura due volte al giorno per tutta la settimana, e una minestra di brodo con una porzione di carne alle domeniche e nei giorni festivi, mentre prima c’era solo pane e acqua.
• A poco a poco, tutto viene ordinato, pesando tutto quello che si dà ai detenuti da confezionare, segnando tutto su un registro, sorvegliando il lavoro di ognuno perché sia fatto bene, ripesando tutto col registro alla mano e pagando fedelmente il terzo del ricavo, perché ci sono alcuni che bagnano i filati perché pesino di più. I custodi e i secondini disonesti vengono licenziati.
• Il decreto del 22 giugno 1804 riconosce la personalità giuridica delle congregazioni religiose di utilità sociale, come le Suore della Carità.
• Il 23 marzo 1805, la madre di Napoleone viene nominata protettrice delle suore ospedaliere.
• Il decreto del 18 febbraio 1809 autorizza le congregazioni religiose femminili di tipo caritativo-assistenziale.
• Dunque, durante l’impero napoleonico, queste congregazioni vengono incoraggiate nella loro attività.
• Tra l’11 aprile 1799 e il 3 ottobre 1810, le Suore della Carità fondano 67 case in Francia, in Savoia e in Svizzera; aprono 34 scuole; assicurano il servizio degli ammalati poveri a domicilio con 23 ospizi di carità; sono incaricate della direzione e gestione di una casa di reclusione e di otto ospedali; aprono due pensionati per le ragazze provenienti dalla campagna.
• La madre di Napoleone Bonaparte, Maria Letizia Ramorino, protegge particolarmente le Suore della Carità ed è proprio per opera sua che esse arrivano a Napoli, il 18 novembre 1810.
SECONDA TAPPA: TRA I MISERABILI DI NAPOLI
Qual è la condizione sociale di Napoli, quando vi giungono le Suore della Carità?
• Napoli, con circa mezzo milione di abitanti, dopo Londra e Parigi, è una città sovraffollata dalla concentrazione dei miserabili provenienti da tutto il regno.
• Solo 100.000 residenti hanno un lavoro produttivo. Tutti gli altri sono sottoproletari, speculatori, nobili fannulloni, contadini sfuggiti alla rapacità dei baroni rurali e venuti a tentare la fortuna in città, dove gonfiano la grande armata dei mendicanti e dei ladri.
• Il 12 marzo 1806, Giuseppe Bonaparte, recentemente posto sul trono di Napoli, scrive stupito al fratello Napoleone:
“È abituale vedere morire di fame, nelle strade, uomini sdraiati per terra, nudi come la mano. Ho già regalato molte migliaia di ducati, ma si può dubitarne, dall’aspetto turpe della miseria che si vede nelle strade e che esiste in molte famiglie” .
• Il Consiglio Provinciale di Napoli, nel 1808, scrive:
“Tutti conoscono la situazione degli abitanti di questa grande città: una folla di gente miserabile e di prostitute imbruttiscono le nostre strade; ragazzi senza famiglia, senza tetto, nudi e malaticci importunano gli abitanti con i loro lamenti. Mangiano bucce, carne avariata, e, ammucchiati gli uni sugli altri, dormono nella strada” .
• L’esposizione dei neonati è una pratica molto diffusa e riguarda anche i figli legittimi di famiglie totalmente prive di mezzi di sostentamento. Nella Real Casa dell’Annunziata la mortalità dei bambini abbandonati oscilla, nel primo Ottocento, tra il 65% e l’85%.
• La connessione tra povertà e analfabetismo è molto forte. Alle ragazze, in particolare, non viene data alcuna istruzione.
• La recente soppressione di tutti i monasteri ha aggravato ancor più la miseria, lasciando alla loro fame e, talvolta, alla loro morte, tutti questi affamati, che mendicano lungo le strade della capitale del regno .
• Chi è al potere ci tiene a presentare ai suoi visitatori e ai turisti uno spettacolo ben diverso, per cui tende a nascondere il sudiciume, la bruttezza e la miseria, donde l’appello di Gioacchino Murat alla suocera, cioè alla madre di Napoleone Bonaparte, perché provveda a trovare delle religiose disposte a trasferirsi a Napoli, per occuparsi dell’assistenza ai bisognosi .
• Il governo francese cerca di riorganizzare e razionalizzare l’intervento statale nel settore della beneficenza .
• Col decreto del 26 febbraio 1810 Gioacchino Murat autorizza “l’ammissione nel Regno dell’Istituto delle sorelle spedaliere della carità, dette di S. Vincenzo de’ Paoli” .
• Il 28 maggio 1810, giunge alla Thouret una lettera da parte della madre di Napoleone, in cui le viene notificata la proposta di Murat, assicurando che “arrivando a Napoli, le vostre Suore troveranno una bellissima casa tutta pronta a riceverle, una dotazione sufficiente per assicurare la loro sussistenza e il loro mantenimento” e che “il re di Napoli vuole che le opere di carità che saranno create nel suo regno siano, come quelle di Francia, sotto la protezione di Madama Madre. Così, nonostante la lontananza, le vostre Suore francesi avranno sempre su di loro gli sguardi materni di Sua Altezza Imperiale” .
• La Thouret accetta, scrivendo alla madre di Napoleone in data 10 giugno 1810.
• Il 28 agosto 1810, Napoleone firma il Brevet d’institution publique, col quale approva giuridicamente gli statuti delle Suore della Carità .
• L’intento di Murat è quello di modernizzare gli istituti ospedalieri e caritativi del Mezzogiorno, nell’ambito di una politica che, mentre colpisce il clero claustrale, valorizza il clero impegnato in attività filantropiche e vede nelle Suore della Carità la possibilità di razionalizzare e modernizzare le istituzioni ospedaliere e assistenziali e di diffondere l’istruzione primaria femminile.
• Con la Thouret giungono a Napoli: le consorelle Marianne Barbe Bataillard, Seraphine Alexandrine Guinard, Therese Pauline Arbey, Claudine Sophie Garcin, Jeanne Françoise Genereuse Caillet e Marie Helène Melanie Bobillier, e le due nipotine Rosalie Thouret (quindicenne) e Colombe Thouret (decenne).
• Marie Joseph Rosalie Thouret, sua nipote, sarà la sua biografa. Un’altra nipote Febronie Thouret, sarà a Napoli nel 1854 come direttrice dell’Alunnato che accoglie le fanciulle abbandonate presso la Real Casa dell’Annuziata di Napoli.
• Le Suore della Carità vengono alloggiate nel Monastero di Regina Coeli e incaricate di occuparsi dell’attiguo Ospedale degli Incurabili, che accoglie non solo casi disperati e votati alla morte, ma anche e soprattutto dei poveri “incurabili”, nel senso che non si possono curare a domicilio.
• Assumono l’incarico il 1° gennaio 1811 e cominciano il loro servizio il 2 febbraio, come responsabili dell’amministrazione dei medicinali, della biancheria, del servizio alle donne, del servizio della cucina per l’ordinazione delle derrate alimentari, del loro ricevimento, della distribuzione degli alimenti a tutti, personale e ammalati, della sorveglianza su tutti gli impieghi, della preparazione degli alimenti per tutto l’ospedale.
• Si tratta di quasi 1.200 degenti, tra civili e militari, oltre a un reparto di maternità e a un ricovero per alienati: 430 infermi, 466 inferme, 113 matti, 94 matte, 152 tignosi e 93 tignose. Ma c’è anche la strada, dove la mendicità grida fame, e la porta di Regina Coeli, dove si presentano continuamente dei miserabili che chiedono pane e indumenti.
• Le difficoltà finanziarie si fanno presto sentire, per cui la Thouret scrive al Ministro dell’Interno:
“Tutti i servizi che compiamo sono gratuiti e ci costringono anche a spese; non si può essere d’aiuto ai poveri senza essere obbligate a dare loro qualcosa; non è possibile vedere dei malati all’estremo del dolore, dell’indebolimento e dell’agonia, senza consolarli, dando loro dei dolci; vi è chi cadrebbe nella disperazione senza questo” .
• Come a Bellevaux, le Suore della Carità rivendicano la dignità dei malati, come attesta la lunga lettera inviata al direttore della Commissione amministrativa, in cui si elencano i bisogni urgenti dei malati: “dei piatti per le razioni dei malati; non ne hanno uno a testa, non hanno cucchiai e mangiano la loro zuppa con le mani che poi asciugano nelle lenzuola e nelle coperte” .
• Viene chiesto anche “che le minestre dei malati fossero variate, per quanto possibile, ogni giorno e ad ogni pasto; cioè, si potrebbe dare loro una volta del pane nel brodo, un’altra volta del riso, un’altra volta dell’orzo macinato o passato di legumi secchi, altre volte della pasta; per i moribondi si potrebbe dare del brodo di carne, non del brodo di pasta che, se lo prendono, si sentono oppressi e soffocare” .
• La carità verso gli ammalati è quella vera, mentre la Thouret polemizza contro una carità ipocrita o non rispettosa delle persone:
“Ci sono anche Confraternite di religiosi e di religiose della famiglia che, per la maggior parte del tempo, non fanno altro che passeggiare, ridere, parlare; altre vogliono fare i letti ai malati, letti che sono stati appena rifatti, e così sporcano le sale pulite; un tale zelo serve solo ad inceppare e a turbare l’ordine nella sala; di conseguenza, se fosse vero zelo, potrebbero esercitarlo rispettando alcune norme salutari per i malati, che ne avrebbero bisogno, con un silenzio moderato, e non restare nelle sale dal mattino alla sera” .
• Le promesse fatte dalla madre di Napoleone non vengono purtroppo mantenute: i finanziamenti promessi vengono decurtati, deliberati ma versati con estremo ritardo, sicché, il 10 gennaio 1812, la Thouret scrive ironicamente al Ministro dell’Interno:
“Tutto è ordinato: dotazione sufficiente, casa bella ed ammobiliata, all’arrivo nessuna preoccupazione: tali le promesse che Sua Altezza Imperiale e Reale mi fece scrivere dal suo Segretario. Vostra Eccellenza, meglio di altri, sa, se dopo quattordici mesi dalla mia venuta, piena di lealtà e fiducia nell’adempiere i miei impegni, ho trovato quanto mi era stato promesso. Oso assicurare vostra Eccellenza che nelle cinquantadue Case che ho fondato in Francia, con l’aiuto di Dio e la protezione del Governo, non ho affrontato tante inquietudini, né sopportato tante amarezze ed umiliazioni, quante ne provo nel momento in cui si attenta all’opera mia” .
• Nel 1813, le Suore della Carità cominciano ad occuparsi anche dell’assistenza a domicilio dei malati poveri, della distribuzione del brodo agli indigenti e delle ragazze delle strade di Napoli.
• Aprono due scuole gratuite per le bambine povere, che girovagano per le strade, crescendo nel fango e nell’ignoranza. In poco tempo, le alunne arrivano a trecento. Si insegna loro l’aritmetica, la grammatica italiana e la grammatica francese.
• Le scuole gratuite per le ragazze povere costituiscono una fortissima innovazione nel Regno di Napoli, dove alle ragazze si assicurava solo l’educazione ai lavori femminili.
• Nella lettera indirizzata, il 31 gennaio 1813, al Ministro dell’Interno, la Thouret descrive l’attività con le ragazze povere:
“Noi laveremo loro la faccia, le mani e i piedi, taglieremo le unghie, all’occorrenza i capelli, e le pettineremo. Inoltre, verranno a scuola delle bambine che saranno completamente nude e che non avranno niente da mangiare; bisognerà dare loro qualche vestito e dar loro da mangiare”.
• Le Suore della Carità entrano nei bassi di Napoli, che consistono in una sola stanza, senza finestre. Assistono i trentamila barboni, i cosiddetti “lazzaroni”, chiamati anche “banchieri”, perché dormono sulle panchine pubbliche, mentre, durante l’inverno, si rincantucciano sui pianerottoli delle scale interne o sotto il portico di una chiesa.
• L’attività delle Suore della Carità è instancabile: dall’Ospedale degli Incurabili all’Albergo dei Poveri, dalle carceri femminili alle scuole, dai dispensari all’assistenza domiciliare, dalla cura degli infermi alla preparazione dei farmaci negli ospedali e nelle infermerie, dall’alfabetizzazione delle fanciulle al recupero delle prostitute, dalla cura dei bambini esposti a quella delle fanciulle abbandonate presso la Real Casa dell’Annunziata.
• Nella lettera del 31 gennaio 1813 al Ministro dell’Interno, la Thouret espone il modo in cui le Suore della Carità intendono assistere a domicilio i malati poveri:
“Giunte presso gli ammalati e dopo aver fatto in modo di conquistarne la fiducia con modi rispettosi e ricchi di dolcezza e bontà, ci informeremo dei loro bisogni e della loro malattia per porvi rimedio secondo le nostre possibilità. All’occorrenza chiameremo al loro capezzale i medici ed i chirurghi, medicheremo le piaghe, prepareremo e procureremo i rimedi prescritti dai competenti, vigileremo, perché abbiano a prendere i rimedi stessi; informeremo i medici e i chirurghi sui progressi buoni o cattivi compiuti, del benessere o malessere del malato. Consulteremo i medici sulla dieta da seguire secondo il bisogno, prepareremo e daremo gli alimenti opportuni, e quando saranno nella condizione di prendere cibi solidi ne prepareremo e distribuiremo; ora sarà una minestra preparata in un certo modo, ora la zuppa in un altro; somministreremo pane, carne, vino, frutta e qualche dolce; all’occorrenza forniremo il combustibile; faremo loro il letto e riassetteremo la camera quando nessuno potrà occuparsi di loro, per quanto ci sarà possibile; se saremo impedite, pagheremo perché si possa provvedere; quando i malati saranno privi di lettiera, ne acquisteremo, e procureremo anche degli abiti secondo i bisogni urgenti e le nostre disponibilità; quando i malati non avranno nessuno che possa assisterli, curarli di giorno e di notte, troveremo chi potrà dedicarsi loro e penseremo al pagamento; quando si troveranno nella necessità di farsi ricoverare in ospedale, saremo sollecite nel fare le pratiche per questo scopo; se non avranno nessuno che potrà portarveli, ci interesseremo noi e verseremo l’importo” .
• Nelle Règles et Constitutions Générales del 1820, la Thouret prescrive alle suore di controllare l’effetto dei farmaci sui malati, di vigilare sull’ordine e sulla pulizia delle sale e degli strumenti sanitari, arrivando a metterle in guardia circa i “danni terribili, che derivano molto spesso, per la disgrazia dell’umanità, dall’uso troppo poco accorto dei contenitori di rame, di ottone e talvolta di piombo e di stagno”.
• All’atto della Restaurazione borbonica, il re Ferdinando, con una lettera del 28 giugno 1815, trasmessa tramite il Ministro dell’Interno, dichiara di recepire gli impegni del regime precedente e di prendere sotto la sua protezione le Suore della Carità:
“Sua Maestà è stata molto soddisfatta nell’apprendere della fondazione del suo Istituto nel Regno, e più di tutto dallo zelo che dimostrano le Suore nelle opere che sono state loro affidate. Così ha deciso che questo Istituto continui” ().
• Però, a partire dal 1° gennaio 1816, la Direzione Generale del Tesoro riduce del 60% la dotazione annua alle Suore della Carità. La Thouret, in una lettera del 14 febbraio 1816, indirizzata al Ministro dell’Interno, così protesta:
“Alla scuola dei poveri, alcune vengono quasi senza abiti e senza pane; bisogna che facciamo altre spese per ovviare a tali necessità. Un’altra moltitudine di poveri di ogni età e condizione, enormemente miserabile, chiede ogni giorno qualcosa per mangiare, per vestirsi, per dormire. Ebbene! Eccellenza, la compassione per loro ci ha costrette a privarci anche del necessario, per venire incontro a tutti i loro bisogni. Ed ora, Eccellenza, non ci rimane che piangere con questi poveri, poiché non potremo più soccorrerli e presto ci troveremo nella indigenza per la cessata erogazione della somma di 4.238 ducati. Tutti i servizi che compiamo sono gratuiti e ci costringono anche a spese; non si può essere d’aiuto ai poveri senza essere obbligate a dare loro qualcosa. Lo sappiamo dopo cinque anni all’ospedale degli Incurabili: non è possibile vedere dei malati all’estremo del dolore, dell’indebolimento, dell’agonia senza sollevarli e consolarli con dei dolci: alcuni cadrebbero nella disperazione. Con questa vera esposizione, la saggezza dell’Eccellenza Vostra potrà giudicare adeguatamente che ci è impossibile sostenere tutte le spese indispensabili con la sola somma annuale di 3.600 ducati, nonostante tutte le precauzioni che potremmo usare” .
• Alle Suore della Carità, nel 1833, viene affidato l’Alunnato della Real Casa dell’Annunziata.
• Nella prima metà dell’Ottocento, il numero dei bambini immessi ogni anno nella ruota dell’Annunziata si aggira intorno ai duemila.
• Ad essi le Suore della Carità insegnano a leggere, scrivere e far di conto, elementi di lingua italiana e francese e canto.
• Le innovazioni sanitarie ed educative sono talmente profonde da arrivare a prescrivere di non legare i bambini con le fasce, per non alterarne la circolazione, la respirazione e il movimento dei muscoli, di curare l’igiene dei letti, disponendo un bambino in ogni letto e non tre per letto, come si usa fare con gli orfani e gli esposti.
• Le Suore della Carità accorrono dovunque ci sia bisogno di loro.
• E così arrivano anche ad Ascoli Satriano.
• Col Regio Decreto del 26 agosto 1853 alle Suore della Carità viene affidato l’Orfanotrofio di Ascoli Satriano, fondato, nel 1798, dal vescovo Emanuele De Tommasi:
“Ferdinando II, per grazia di Dio Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme ecc., Duca di Parma, Piacenza e Castro ecc., Gran Principe Ereditario di Toscana ecc.; veduto lo avviso della Consulta dei Nostri Reali Domini al di qua del Faro; sulla proposizione del Direttore del nostro Ministero, e Real Segreteria di Stato dell’Interno; abbiamo risoluto di decretare, e decretiamo quanto segue:
Art. 1. Approviamo, che nell’Orfanotrofio di Ascoli in Capitanata siano stabilite due Suore della Carità dell’Istituto di Regina Coeli, con l’obbligo di curare la istruzione delle fanciulle, e l’assistenza degli infermi in quell’ospedale civile”.
TERZA TAPPA: TRA I MISERABILI DI ASCOLI SATRIANO
Qual è la condizione sociale di Ascoli Satriano, quando vi giungono le Suore della Carità?
• La popolazione soprattutto contadina con prole numerosa vive in condizioni abitative, igienico-sanitarie e alimentari insopportabili, per cui la mortalità è molto alta.
• Tra il 1849 e il 1854, pur in presenza di un alto indice di natalità, il saldo tra natalità e mortalità è passivo: - 465 abitanti.
• Nel 1853, gli abitanti sono circa 6.000, come attestano gli Atti del Sinodo Diocesano, celebrato nella cattedrale ascolana dal vescovo Leonardo Todisco Grande, dal 10 al 12 aprile 1853.
• Il terribile terremoto del 14 agosto 1851 ha semidistrutto Ascoli, tanto che nella piazza principale della città viene costruita una baraccopoli per i numerosi cittadini rimasti privi di casa e, a distanza di sei giorni dal terremoto, vengono estratti vivi dalle macerie della loro casa la moglie del segretario comunale Biase Metta, il figlio Fortunato e la loro domestica.
• Il 18 settembre 1851, Ferdinando II, accompagnato dal fratello Francesco Paolo, dal principe ereditario Francesco, dal Ministro Segretario di Stato dei Lavori Pubblici e dal Direttore del Ministero dell’Interno Salvatore Murena, viene a visitare Ascoli e a rendersi conto di persona dei gravissimi danni causati dal terremoto.
• Questa visita del re ad Ascoli e l’interessamento del vescovo Todisco Grande saranno determinanti ai fini dell’invio di alcune Suore della Carità da Napoli ad Ascoli.
• Tra il 1854 e il 1910, le condizioni di vita degli Ascolani migliorano notevolmente, facendo registrare un saldo attivo tra natalità e mortalità, per cui la popolazione, nel 1911, raggiunge il numero di 9.219 abitanti.
• Lettera del 5 maggio 1912 della Superiora Suor Maria Immacolata Fiorioli all’Amministrazione Comunale di Ascoli Satriano:
“Data l’indole di questo paese, dedito unicamente all’agricoltura, s’imporrebbe necessità d’istituire una Scuola Infantile la quale di preferenza accogliesse i bimbi de’ contadini, abbandonati per le lunghe giornate di lavoro in sulle pubbliche vie, e quivi esposti ad ogni maniera di pericoli fisici e morali. Posto ciò la sottoscritta, desiderosa d’accingersi a tal opera prima dell’incominciarsi de’ lavori estivi, prega caldamente V. S. Ill.ma voler prendere a cuore detta propria privata iniziativa”.
• L’Amministrazione Comunale esprime il suo assenso con la deliberazione del 18 maggio 1912, per cui nel mese di settembre del 1912 le Suore della Carità fondano l’Asilo Infantile privato.
• Lettera del 5 maggio 1912 di Suor Maria Paolina Orlandi all’Amministrazione Comunale:
“Già da tre anni, a privata iniziativa della sottoscritta, si è istituita in questa città una scuola di cucito e ricamo d’ogni genere a vantaggio delle figlie del popolo, la quale ha dato sinora splendidi risultati. Si desidererebbe adunque annettervi, per ora, una sezione maglieria”.
• Nonostante l’incremento della natalità, prima la grande guerra mondiale e poi la “spagnola”, che miete centinaia di vittime, riducono la popolazione ascolana, nel 1921, a 8.572 abitanti.
• In queste situazioni le Suore della Carità prestano la loro opera assistenziale sia presso l’Ospedale Civile di Ascoli sia al domicilio dei malati.
• Negli anni 1918-1919 assistono nel locale Lazzaretto i malati colpiti dalla terribile “spagnola”.
• Lettera del 1° maggio 1926 della Direttrice dell’Asilo Infantile, Suor Maria Leocadia Fiorioli, all’Amministrazione Comunale:
Nel primo dopoguerra, l’Asilo Infantile, accogliendo gratuitamente “gli orfani di guerra, i figli delle vedove bisognose, tutti insomma i bambini poveri”, registra, nel 1925, un passivo di lire 2307,25, a causa della mancata liquidazione dei crediti da parte dell’Amministrazione Comunale, da cui ormai dipende l’Asilo Infantile.
• In precedenza, l’Asilo Infantile ha avuto il sostegno della locale Congregazione di Carità. Poi, con Delibera Comunale n. 55 del 23 dicembre 1925, si dichiara la necessità di istituire l’Asilo Infantile Comunale in base al Regio Decreto n. 2185 del 1923, che riconosce gli Asili come istituti di educazione, per cui dal 1° gennaio 1926 l’Asilo Infantile passa alle dipendenze del Comune.
• Perciò, nella sua lettera del 1° maggio 1926, Suor Leocadia Fiorioli ricorda all’Amministrazione Comunale che “divenuta ora obbligatoria per legge la prescolastica istituzione, non è forse per Ascoli e per Codesta Spettabile Amministrazione Comunale vera fortuna il trovarsela già costituita ed in pieno funzionamento?”.
• Quindi, nel mese di agosto del 1926, viene stipulata una convenzione tra l’Amministrazione Comunale e le Suore della Carità per il funzionamento dell’Asilo Infantile “Regina Margherita” di Ascoli Satriano.
• Intanto, nel 1925, l’Orfanotrofio è stato soppresso per mancanza di mezzi.
• Questa è una storia che si replica a soggetto: chi governa spesso toglie ai poveri per dare ai ricchi.
• Spesso il ricco è miope, per cui tiene lontani dalla sua mensa bulimica i lazzari miserabili: non riesce a vedere e prevedere che, un giorno, quei milioni di lazzari potrebbero diventare lazzaroni e sfondare il portone della dorata sala da pranzo dei suoi discendenti.
CONCLUSIONE
1. La rivoluzione francese aveva gridato: liberté, egalité, fraternité. Ma la ghigliottina e le guerre napoleoniche fecero centinaia di migliaia di morti.
2. La francese Jeanne-Antide Thouret e le sue suore seppero dare concretamente ai miserabili liberté, egalité e fraternité, trasformando la carità in giustizia, perché, come scrive Agostino:
“Charitatis gradus faciunt et iustitiae gradus. Charitas ergo inchoata, inchoata iustitia est; charitas provecta, provecta iustitia est; charitas magna, magna iustitia est; charitas perfecta, perfecta iustitia est” .
Traduco per i neolatini: “I gradi della carità fanno anche i gradi della giustizia. Perciò, una carità iniziale è una iniziale giustizia; una carità progredita è una progredita giustizia; una carità grande è una grande giustizia; una carità perfetta è una perfetta giustizia”.
E senza giustizia non c’è pace, perché “opus iustiae pax” .
BIBLIOGRAFIA
1. F. THOURET, Notice sur la vie de Soeur Jeanne-Antide Thouret, Genève, Jacquemot, 1860.
2. H. CALHAIT, La Mère Thouret. Histoire de sa vie et de ses oeuvres, Rome, Imprimerie du Vatican, 1892.
3. F. TROCHU, Santa Giovanna Antida Thouret, Fondatrice delle Suore della Carità (1765-1826), Milano, Ancora, 1961.
4. Sainte Jeanne-Antide Thouret, fondatrice des Soeurs de la Charité, 1765-1826. Lettres et Documents, Besançon, Jacques et Demontrond, 1982.
5. A. DUFFET, Les premières compagnes de Jeanne-Antide, Baume-les-Dames, I.M.E., 1994.
6. L. MEZZADRI, Giovanna Antida Thouret. Il coraggio della carità, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1998.
7. Th. REY-MERMET, Giovanna Antida Thouret. Abbiamo sentito la voce dei poveri, Roma, Città Nuova, 1999.
8. P. AROSIO – R. SANI, Sulle orme di Vincenzo de’ Paoli. Jeanne-Antide Thouret e le Suore della Carità dalla Francia rivoluzionaria alla Napoli della Restaurazione, Milano, Vita e Pensiero, 2001.
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