La Cattedrale di Ascoli Satriano

La Cattedrale di Ascoli SatrianoLa Cattedrale di Ascoli Satriano

La Cattedrale Medievale di Ascoli Satriano

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ASCOLI SATRIANO NEL SEC. XVIII


(da Pacichelli, “Il Regno di Napoli in prospettiva”
– 1703)

(NOTA: La Chiesetta cerchiata di rosso indica l’antica Cattedrale
di Ascoli S. Maria del Principio)

SANTA MARIA DEL PRINCIPIO

L’ANTICA CATTEDRALE MEDIEVALE DI ASCOLI -SANTA MARIA DEL
PRINCIPIO-

(a cura di Giuseppe d’ARCANGELO e aggiornamenti di Potito
CAUTILLO)

L’attuale Cattedrale di Ascoli, Concattedrale della Diocesi di
Cerignola-Ascoli Satriano, dedicata alla Natività della Beata Vergine
Maria (Sanctae Mariae Nascenti) acquisì tale titolo solo a partire
dal 1455 quando il Vescovo dell’epoca Giacomo (1419-1458), ottenne
da Papa Callisti III la Chiesa del francescani conventuali dedicata a
S. Caterina, trasferendo questi ultimi nel convento ex benedettino di
S. Giovanni Battista. Il Vescovo successore, Giovanni Antonio Boccarelli
(1458-1469), confermò il titolo della nuova Chiesa Cattedrale.
Sono trascorsi 550 anni.

Dell’antica Cattedrale ormai la collettività ascolana ne
ha perso completamento la memoria. Le ultime vestigia sono state demolite
intorno al 1874 quando il sacerdote don Michelino Conte intraprese l’iniziativa
di erigere una cappella dedicata alla Madonna dell’Incoronata sulla
collina della Torre Vecchia, già sede del quartiere medievale di
Ascoli detto del Frontino. L’ultimo esile legame della collettività
con quella cattedrale è costituito dalla conservazione nella toponomastica
cittadina della via Torre Vecchia, che designa la strada che collega Largo
Aulisio alla sommità della omonima collina (oggi detta: collina
Pompei) dove sorge la Chiesa della Madonna di Pompei con annesso orfanotrofio
(dal 2003 trasformato, con l’aggiunta di un nuovo lotto, in casa
di riposo per anziani) tenuto dalle suore della Congregazione delle Suore
Domenicane del SS. Sacramento.

Manoscritti, cartografia e pubblicazioni

Il maestro di scuole elementari Potito Corsari, in un suo manoscritto
del 1915 descrive nei suoi ricordi “un rudere di una vecchia torre
mezzo diroccato, covo - di notte - di uccelli rapaci che vi annidavano,
ritrovo – di giorno – dei monelli del paese…, che si
arrampicavano sulla cima della torre per prendere le uova dai nidi di
uccellacci”. Il rudere della torre doveva essere ancora notevolmente
alto e staticamente stabile.

G. B. Pacichelli nel “Regno di Napoli in prospettiva” del
1703 pubblica una rappresentazione ideografica della città di ASCOLI
IN CAP. Anche se la rappresentazione non è fedele, dà un’idea
verosimile del panorama della città alla fine del XVII secolo.
La rappresentazione individua i luoghi notevoli della città con
lettere maiuscole, i relativi nomi sono esplicitati nella sottostante
legenda. Con la lettera N è segnalata la Chiesa di S.Maria del
Principio. L’edificio è rappresentato isolato nella zona
in basso a destra della tavola, dirimpetto alla Chiesa e al convento agostiniano
di S. Maria del Popolo. Nella zona retrostante è disegnato un alto
campanile con la croce in sommità, contiguo alla Chiesa. L’immagine
riproduce in maniera corretta la mutua posizione di S.Maria del Principio
e il convento e la Chiesa agostiniana.

All’inizio del 1800, la torre e i ruderi circostanti dovevano avere
ancora una notevole consistenza se il cartografi A. Rizzi – Zannoni
nel suo atlante (1806-1808) rappresenta Ascoli e, in posizione isolata,
la collina Torre Vecchia con la scritta del toponimo.

Il dott.Pasquale Rosario nell’opera “Dall’ Ofanto al
Carapelle” riporta che, nei loro manoscritti i sacerdoti: De Benedictis
(XVI), Giovine (XVIII) e Colavita (XIX), hanno scritto che “…anticamente,
nella ricorrenza di S.Potito, il Clero ed il popolo ascolano dalla Cattedrale
odierna portavasi per andare a cantare con tutta solennità, presso
una torre detta Torre di S. Leo (la Torre di Vecchia), sul vicino colle,
su cui era l’antica città, l’inno Iste Confessor…”

Nella “Memoria riguardante il Servo di Dio don Pascarello D’Antolino”
pubblicata a Napoli nel 1851, è riportato che la Chiesa di S.Maria
del Principio fu totalmente abbandonata nel 1729; pur con la perdita del
titolo la Chiesa continuò ad essere aperta al culto.

Cataclismi naturali, guerre ed epidemie ridussero drasticamente la popolazione
di Ascoli per cui la città si ridusse e si racchiuse solo entro
le mura del quartiere della Serra, l’attuale quartiere Castello.
Conseguenza di tale situazione fu l’abbandono progressivo delle
strutture ubicate fuori le mura. In particolare la conservazione dell’edificio
della ex Cattedrale comportava costosi interventi di manutenzione e soprattutto
il mantenimento e la fornitura degli arredi e delle suppellettili per
l’officiatura della Chiesa, lontana ormai dal centro urbano, poco
frequentata e dotata di poche e insufficienti risorse. Tale situazione
non secondaria, determinò la chiusura totale e la dismissione dell’edificio
sacro dalle celebrazioni del culto.

Sono passati oltre settecento anni dall’epoca delle prime documentazioni
sull’esistenza della Chiesa, di cui per 465 anni ha ospitato la
Cattedra del Vescovo della Diocesi di Ascoli e Ordona.

Le pergamene

Le informazioni circa la esistenza della Chiesa di S.Maria in Principio
nell’Alto Medioevo ad Ascoli sono contenute nelle pergamene di atti
notarili rogati ad Ascoli e conservati presso i grandi monasteri benedettini
che ebbero in quell’epoca interessi di proprietà e rendite
nella città e nel territorio di Ascoli, precisamente Montevergine
e Montecassino.

La qualità delle pergamene, della scrittura, delle formule introduttive
di invocazione e degli originali e fantasiosi signum dei notai, fa supporre
verosimilmente la presenza di una scuola di scriptores presso la cattedrale
di Ascoli di S. Maria in Principio.

La prima menzione della Chiesa è contenuta nella pergamena rogata
ad Ascoli nel 994 dal chierico notaio Giovanni, in cui è nominata
la “ecclesia Sancte Marie, a proposito del passo di misura dei terreni,
segnato sul portale della Chiesa.

Per lo stesso motivo nel 1051 il notaio e chierico Urso fa riferimento
allo stesso passo di misura e nello scrivere “Sancte Marie que dicitur
in Principio” soprassegna la parola Marie con il segno della croce
+ per indicare la Cattedrale. Nella “Cartula Venditionis”del
1080 il notaio Urso, chierico e primicerio, indica la Chiesa Cattedrale
con il titolo “beate Dei genitricis et Virginia Marie, que dicitur
in Principio”. Lo stesso Maiore nel 1129 nel Memoratorium (Placiti)
scrive in maniera semplificata “ecclesia Sancte Marie que dicitur
in Principio”. Nella “Cartula Donationis” , rogata dal
notaio Simeone nel 1154, sopprime la parola ecclesia e scrive solo “Sante
Marie que dicitur in Principio”.

Negli stessi documenti si rileva la presenza di religiosi nonché
dignitari del Capitolo Cattedrale, spesso attori degli atti rogati.

Proseguendo nella ricerca dei documenti riguardanti l’antica Cattedrale
registriamo che nello Scriptum Vendicationis, atto rogato ad Ascoli nel
1192 dal notaio Riccardo, giudice Episcopo, è attore Urso diacono
della “Ecclesie Sancte Marie in Principio”. La pergamena,
conservata nell’Archivio benedettino di Montevergine, tratta della
vendita di metà casa ereditata dal diacono dal fratello.

Altri documenti del XII secolo non se ne conoscono. Invece riscontriamo
documenti del XII secolo con riferimenti alla stessa Chiesa. I documenti
sono pergamene rogate ad Ascoli e conservate anch’esse nell’Archivio
benedettino di Montevergine, rilevabili nel regesto pubblicato dal padre
verginiano Giovanni Mongiello, O.S.B.

La prima risale nel 1218 e siamo già in epoca federiciana. L’atto
rogato ad Ascoli dal notaio Guglielmo, giudice Leone, ci informa di una
permuta effettuata da Tommaso de Rendano, presbitero della Chiesa di S.Maria
in Principio di Ascoli, con cui cede una vigna ed un ortale con olivi
in cambio di un’altra terra e sei once d’oro di tarì
siciliani.

Nell’atto del 1226 rogato dallo stesso notaio, giudice Ruggiero,
è attore don Gualtiero, presbitero e canonico dell’Episcopio
di Ascoli. La pergamena non menziona esplicitamente la Chiesa di S.Maria
in Principio, ma lo qualifica come canonico dell’Episcopio e quindi
facente parte del Capitolo della Cattedrale dii S.Maria in Principio.

Sempre il notaio Guglielmo nel 1230, Bisanzio è giudice imperiale,
redige l’atto con cui tal Giovanni de la Sala vende a tal Giovanni
de Leone un immobile posto vicino alla Porta de Clavicella, delle mura
di Ascoli, costruito su un suolo redditizio alla Chiesa di Santa Maria
in Principio di otto denari annui da pagarsi nella festa della Madonna
il 15 agosto.

In una pergamena conservata nel monastero benedettino di Montecassino
il notaio Giovanni nel 1237, Gilberto è giudice imperiale, roga
un atto analogo a quello della pergamena verginiano precedente. Infatti
l’attore Giacomo Rossi di Cademolio, vende al medico Giovanni una
casa posta fuori le mura di Ascoli, vicino alla Porta Pianella, costruita
su suolo del Monastero di san Benedetto di Ascoli e dell’Episcopio
ascolano ed a cui si paga un censo di nove denari il giorno della festa
della Madonna il 15 di agosto, oltre a nove grani aurei al Monastero nello
stesso giorno.

Tre atti verginiani rogati in Ascoli hanno come attore il primicerio della
Chiesa di Santa Maria in Principio don Bartolomeo, il quale nel primo
atto del 1254, notaio Mattia e giudice Giovanni Frainella, corrisponde
al cognato la dote di due once d’oro a Mastro Giglio Corvisiero
per aver preso in moglie la sorella. Nel secondo atto del 1257, Orlando
notaio e Mattia giudice regio, compra da Maestro Luca de Guarnerio Pelliperrio
cinque fosse per tre tarì. Nel terzo atto del 1260, notaio Orlando
e Sicinulfo di Lagopesole giudice regio, compra un ortale da tal Nicola
de Gaudenzio per 18 tarì d’oro.

Fino alla fine del XII secolo non si dispongono di atti che menzionano
la nostra Chiesa. All’inizio del secolo successivo gli Svevi ormai
sono stati soppiantati dai Francesi della casa d’Angiò che
avevano ormai consolidato il loro potere.

Nel 1306, regnante Carlo II, nella pergamena verginiana rogata dal notaio
Desiderio, è registrata una permuta di terreni arativi tra i Canonici
e il Clero della Cattedrale di Ascoli, consenziente il Vescovo, e il monaco
verginiano don Andrea, procuratore dell’Abate di Montevergine. Le
località ascolane ove erano ubicati i terreni oggetto della permuta
sono designate con i toponimi Serra Longa e S. Zaccaria, oggi scomparsi.

Il Vescovo della Diocesi di Ascoli che autorizza la permuta, è
Ruggiero. Il potere laico è in mano alla famiglia d’Aquino,
con Bernardo signore di Ascoli.

Esplicito riferimento all’antica Chiesa Cattedrale della Diocesi
ascolana si riscontra nelle “Rationes Decimarum Italiane nei secoli
XIII e XIV APULIA – LUCANIA – CALABRIA”, pubblicata
a cura di Domenico Vendola per la Biblioteca Apostolica Vaticana nel 1939.
Per le decime relative all’anno 1310 risulta che mentre la Mensa
vescovile paga 6 once, il Capitolo ascolano paga 12 tareni. Per l’anno
1325 il “Dominum Episcopus Esculanus” paga 12 tareni e 10
grana, il “primicerius et clerici S. Marie in Principio” pagano
26 tareni.

Nella seconda metà del 1300 non sono noti atti notarili rogati
in Ascoli. Due eventi particolarmente calamitosi si abbatterono sulla
popolazione ascolana, che ne ridussero la consistenza demografica.

Nel 1347 un evento sismico dalle conseguenze disastrose si abbatté
sulla città danneggiandone il patrimonio edilizio, non senza numerose
vittime umane. Tale evento costituisce presumibilmente l’inizio
dell’abbandono irreversibile della collina, il quartiere Frontino,
attuale Torre Vecchia o collina Pompei – sede dell’antica
Cattedrale e dell’Episcopio, da parte della popolazione. La popolazione
finirà per arroccarsi sulla collina Serra – attuale collina
Castello -. L’abbandono urbano del quartiere sarà suggellato
nella metà del secolo successivo quando fu trasferita definitivamente
la sede della Cattedrale e dell’Episcopio. Dopo il terremoto, nel
1348-1350 esplose e si diffuse la Peste Nera , che, proveniente dall’Asia
Minore, a partire dai porti del Mediterraneo si diffuse per tutta l’Europa,
flagellandola con la morte. Il numero dei morti fu altissimo, storici
specialisti, con stime attendibili hanno calcolato che la popolazione
di Firenze fu dimezzata. Tale peste non risparmiò certamente Ascoli,
ciò ne ridusse drasticamente la sua popolazione. Si presume sia
stata la causa plausibile della mancanza di notizie e di atti notarili:
la popolazione stressata e decimata non produceva atti.

Proseguendo nella ricerca dei documenti riguardanti l’antica Cattedrale
registriamo che nello Scriptum Venditionis, atto rogato ad Ascoli nel
1192 dal notaio Riccardo, giudice Episcopo, è attore Urso diacono
della “Ecclesie Sancte Marie in Principio”.

La pergamena, conservata nell’Archivio Benedettino di Montevergine,
tratta della vendita di metà casa ereditata dal diacono da suo
fratello.

Altri documenti del XII secolo non se ne conoscono. Invece riscontriamo
documenti del XII secolo con riferimenti alla stessa Chiesa. I documenti
sono pergamene rogate ad Ascoli e conservate anch’esse nell’Archivio
Benedettino di Montevergine, rilevabili nel registro pubblicato da padre
verginiano Giovanni Mongiello, O.S.B.

La prima risale al 1218 e siamo già in epoca federiciana. L’atto
rogato ad Ascoli dal notaio Guglielmo, giudice Leone, ci informa di una
permuta effettuata da Tommaso de Rendano, presbitero della Chiesa di S.Maria
in Principio di Ascoli, con cui cede una vigna ed un ortale con olivi
in cambio di un’altra terra e sei once d’oro di tarì
siciliani.

Abbiamo annotato come alla metà del XIV secolo, prima del terremoto
e poi la diffusione della peste ridimensionarono drasticamente la popolazione
ascolana, provocando il progressivo abbandono della collina del Frontino
(ora Torre Vecchia o Pompei), sede della Cattedrale di S. Maria in Principio
e dell’Episcopio, per spostarsi sulla collina della Serra (ora Castello).

Ci si può chiedere come mai gli ascolani preferirono privilegiare
il quartiere Serra piuttosto che riparare le case danneggiate dal terremoto
e rimanere sul loro sito della collina Frontino (già Torre Vecchia,
ora Pompei). Si può azzardare qualche risposta con ipotesi plausibili,
ma non riscontrabili nelle fonti documentarie, scavi archeologici e scritti.

Nei secoli dal X alla metà del XIV, anche se la città è
costituita dai due quartieri Frontino e Serra, la collina del Frontino,
rispetto a quella della Serra sembra avere un maggiore affollamento demografico,
maggiore urbanizzazione del suolo cittadino e di conseguenza una maggiore
densità abitativa per la presenza, sulla sommità del quartiere,
della cattedrale e dell’Episcopio. La vicinanza al luogo di culto
aumenta la possibilità di salvezza dell’anima del peccatore.

I danni alle strutture edilizie della città, provocati dal terremoto
dell’anno 1343, possono essere stati molto superiori sulla collina
Frontino. La plausibilità dell’ipotesi può trovare
sostegno nel tessuto urbano molto più fitto, nella rete stradale
cittadina avente morfologia intricata e irregolare, costituita da via,
vicoli, viuzze, scalinate di larghezza molto variabile e per la maggior
parte non superiore ai tre metri; archi insistenti su strade pubbliche,
opere di sostegno, terrazzi, eccetera. Le strade normalmente erano caratterizzate
da livellette molto irregolari e ripide. Quanto affermato trova riscontro
nell’attuale centro storico di Ascoli, il cui impianto stradale
risale almeno al basso Medioevo.

Durante lo scatenarsi delle onde sismiche, tessuti urbani come quello
suddescritto, oltre a subire danni diretti dal sisma subisce anche danni
dovuti ad una sorta di effetto “domino” per la presenza degli
edifici nelle zone adiacenti, contermini e prospicienti, che interagendo
tra di loro ne aggravano le conseguenze. Anche ciò è stato
constatato nei terremoti recenti. A tal proposito osserviamo che tutte
le moderne norme costruttive antisismiche, prevedono il rispetto di distanze
minime tra edifici con la contestuale limitazione delle altezze.

Sulla collina della Serra, la presenza di un tessuto urbano più
rado deve aver provocato minori danni al patrimonio edilizio e pertanto
deve essere stato più conveniente e mone costoso recuperarlo. Cinque
anni dopo il disastro sismico si diffuse la peste nera, che provocò
una feroce riduzione della popolazione. Ciò rese disponibili molte
case non danneggiate o poco danneggiate sulla stessa collina; pertanto
gli ascolani superstiti del terremoto e poi della peste decisero di fissare
la loro dimora sulla collina Serra, dove presumibilmente trovarono case
a poco prezzo o addirittura gratis. La città originaria era urbanisticamente
troppo grande per essere abitata da una popolazione ridotta ormai ai minimi
termini. Bisognava scegliere il sito di residenza, specialmente dopo che
nel luglio 1360 un nuovo terremoto si abbatté su Ascoli.

Non è da trascurare che concausa del trasferimento possa essere
stata anche la considerazione logistica che la collina Serra, dal punto
di vista militare, per le sue peculiari caratteristiche morfologiche,
fosse naturalmente più difendibile che non la collina Frontino.
Inoltre la collina Serra era sede del potere laico dominata dalla fortezza
del feudatario.

Lo spopolamento ed abbandono del quartiere si consumò nell’arco
di circa 80 anni, se nel 1426 il Vescovo di Ascoli Giacomo (1419-1458)
chiese a Papa Martino V (1417-1431) di ottenere all’interno della
città la Chiesa di S. Francesco e il convento dei frati francescani
conventuali, sotto il titolo di S. Caterina da Siena, per farne Cattedrale
ed Episcopio, decretando la riduzione della Cattedrale di Santa Maria
in Principio a semplice Chiesa del residuo quartiere del Frontino.

A questa data la città si era arroccata sulla Serra, costruendo
nuove mura di difesa esterne solo intorno alla nuova città, ormai
di estensione dimezzata. Di fatto la residenza vescovile era esterna alla
città: la Cattedrale di Santa Maria del Principio e l’Episcopio
erano ormai extra moenia. I Canonici e i Religiosi in genere, pur abitando
in città, per assolvere alle proprie funzioni religiose, erano
costretti ad andare quotidianamente sulla collina Frontino, lontana e
sempre più difficoltosa da raggiungere per il degrado progressivo
delle strade di accesso.

Il Papa delegò il Vescovo di Lucera Mons. Bassistacchio de Formica
(1422-1450) per risolvere la questione. Presumibilmente l’Ordine
Francescano dei Conventuali, titolare di Chiesa e Convento, fece notevole
resistenza alla richiesta del vescovo di Ascoli, se per oltre trenta anni
della questione non se no fece niente.

Un primo documento del XV secolo in cui troviamo menzionata la Chiesa
di S. Maria in Principio è la pergamena, conservata nell’archivio
dell’Abbazia Benedettina di Monte Cassino, del 9 febbraio 1433.
Il documento tratta dell’autentica dei privilegi della prepositura
benedettina di Ascoli per il ritrovamento il 17 maggio 1411 di un antico
inventario delle proprietà benedettine cassinesi in Ascoli. Nell’elenco
delle proprietà è riportato un terreno posto in “contrada
Banioli”, confinante con l’Episcopio e quindi con la Cattedrale.
La località Banioli era la zona nord-ovest della collina Frontino;
attualmente vi è ubicato il cimitero di Ascoli.

Una seconda pergamena cassinese del 13 maggio 1449, conservata a Montecassino,
menziona la Chiesa di S.Maria in Principio. Il documento costituisce il
transunto dell’inventario fatto redigere dal Preposto della Badia
cassinese ascolana Fra Filippo di S. Apollinare (1433-1442), circa i beni
immobili posseduti dall’abbazia benedettina nei tenimenti ascolani.
Nella descrizione dei confini delle proprietà benedettine menziona
dei terreni che “…sunt de Sancta Maria de in Principio”.
In questo documento riporta anche il terreno già menzionato in
quello precedente in “contrada Bangyoli”, accanto alla terra
della Chiesa di S. Leone, che è il nome con cui il notaio ha indicato
l’Episcopio. La tradizione vuole S. Leone, primo Vescovo di Ascoli
e Ordona.

Il transunto fu fatto redigere dal Procuratore di Montecassino Cristoforo
Giovanni Fandoni di Ascoli, al notaio Giacomo Andrea da Baglione di S.
Severo. Fu sottoscritto dal notaio Angelo Antonio da Montepeloso, cittadino
ascolano, nella veste di giudice regio. Nello stesso documento ritroviamo
come teste Ruggiero Caccoli Carrera, Canonico del Capitolo Cattedrale
di S.Maria in Principio, Primicerio di S. Angelo.

All’inizio del XV secolo Ascoli era feudo del più potente
barone del regno, il Principe di Taranto Orsini. Il Principe con la sua
famiglia non risiedeva certamente ad Ascoli, dove presumibilmente risiedeva
un suo incaricato che esercitava il potere in sua vece e tutelava i suoi
interessi economici. Ascoli era uno dei tanti feudi posseduti dai Principi
Orsini di Taranto da cui traevano le rendite che spettavano al feudatario,
trascurando e mettendo elle mani di terzi le loro prerogative di governo
del feudo, spesso esercitato con gravi abusi. La mancata presenza fisica
sul posto del feudatario e della sua famiglia diminuiva l’importanza
politica della città e ciò si rifletteva negativamente anche
sull’autorità del Vescovo della Diocesi, indebolendola.

Gli effetti di questa debolezza si manifestarono allorché, come
già detto, il Vescovo di Ascoli Giacomo nel 1426 fece richiesta
al papa dell’epoca Martino V - Oddone Colonna, di trasferire la
Cattedrale da S.Maria in Principio e l’episcopio nella Chiesa di
S. Francesco e nel convento di S. Caterina da Siena dei frati dell’Ordine
dei Francescani Conventuali. La questione, affidata dal Papa al Vescovo
di Lucera, Mons. Bassistacchio de Formica, non ebbe soluzione. La presumibile
forte resistenza dei Francescani Conventuali prima e il radicale cambiamento
del quadro politico nel Regno di Napoli successivamente, dilatarono in
un trentennio la risoluzione del problema. Il cambiamento del quadro politico
registrò l’insediamento sul trono di Napoli della dinastia
Aragonese al posto della casa d’Angiò: nel 1442 Alfonso I
il Magnifico (1442-1458) della casa d’Aragona Diventò Re
di Napoli.

Quando il nuovo potere politico nel regno di Napoli si fu assestato, il
Vescovo di Ascoli Giacomo ripropose al Papa il suo progetto di trasferimento
della Cattedrale facendosi sostenere dai buoni uffici del marchese di
Venosa e chiedendo l’intervento dello stesso Re Alfonso. Il Vescovo
per rafforzare la sua richiesta non sentì il bisogno di rivolgersi
al feudatario di Ascoli, Principe Orsini di Taranto, lontano e disinteressato
ai problemi della città, ma a quello di Venosa.

Nel 1455, in seguito all’intervento di Re Alfonso I d’Aragona,
Papa Callisto III – Alfonso Borja o Alfonso Borgia – (1455-1458)
accolse la richiesta del Vescovo e con bolla del 24 settembre1455 dispose
il trasferimento dei frati francescani conventuali nell’ex Convento
benedettino di Giovanni Battista, autorizzando il trasferimento della
Cattedrale di Ascoli nella Chiesa di S. Francesco e l’Episcopio
nell’annesso Convento di S. Caterina. Della esecuzione della Bolla
il Papa incaricò il Vescovo di Troia Mons. Giacomo Lombardi (1438-1468),
che rapidamente attuò le disposizioni papali.

La Chiesa francescana elevata alla dignità di Cattedrale, era stata
costruita dai frati sui resti di un’antica Chiesa, distrutta da
un incendio, dedicata a Maria SS.della Natività. Nel nuovo titolo
della Chiesa si confermò l’antico nome aggiungendo il nome
del leggendario primo Vescovo di Ascoli. La Cattedrale fu dedicata a Maria
SS.della Natività e a S.Leone, titolo confermato il 1° maggio
1459 dal vescovo successore di Giacomo, Mons. Giovanni Antonio Boccarelli
(1458-1469).

Con il trasferimento della Cattedrale all’interno delle mura della
città, per la Chiesa di S.Maria in Principio iniziò un lento,
progressivo e inesorabile processo di abbandono che porterà prima
alla sconsacrazione nella prima metà del XVIII secolo e successivamente
alla sua scomparsa fisica nella seconda metà del secolo successivo.
Iniziò l’anno successivo un terremoto, il 5 dicembre 1456.
Dopo il trasferimento della cattedrale, il Vescovo pro-tempore assegnò
la Rettoria dell’ex Cattedrale al Primo Primicerio del Capitolo
Cattedrale, al Secondo Primicerio la Chiesa di S. Angelo.

Ridotta a semplice Chiesa S.Maria in Principio continuò ad assolvere
alle sue funzioni religiose e a conservare l’interesse delle famiglie
benestanti a mantenere e dotare cappelle e altari di rendite finanziarie.
Con il diritto a seppellire i morti della famiglia nelle tombe che in
genere si ricavavano nel pavimento, in corrispondenza degli altari.

Un esempio documentato è quello della Cappella del Crocifisso dotata
e mantenuta dalla famiglia degli Antolini, eretta da Altobello degli Antolini
nel 1541 a seguito della sepoltura del fratello, Primicerio del Capitolo
Cattedrale di Ascoli don Pascarello de Antolini, come si legge sulla pietra
tombale proveniente dall’antica Cattedrale e attualmente conservata
nell’antisacrestia dell’attuale della Natività della
BVM. Infatti sulla fascia perimetrale del bassorilievo si legge:

Hic jacet humanum corpus venerabilis

Pascarelli de Antolini

primicerii Sanctae Mariae de Principio,

die 8 mensis Julii 16 XII Ind. 1540.

A partire dal 1541 e fino alla metà del XVII secolo non si conoscono
altre notizie o informazioni riguardanti l’ex Chiesa Cattedrale.
Il suo nome lo ritroviamo legato al Canonico del Capitolo don Donato Carrera,
primo Primicerio di S.Maria in Principio e sottoscrittore di un atto redatto
dal notaio Camillo Maffei di Ascoli, con gli altri 12 componenti del Capitolo,
riguardante una controversia sul pagamento delle decime che gli abitanti
di Ascoli non residenti dovevano al capitolo per antiche concessioni reali,
risalenti addirittura ai Re Normanni. Il documento è datato 17
maggio 1622, 5° indizione.

Dopo la peste del 1656, durante la quale rimase vittima anche il Vescovo
di Ascoli Pirro Luigi Castellomata (1648-1656), un sacerdote, don Lucio
Cicerale della Chiesa di Ascoli, costituì un legato in favore della
Chiesa di Santa Maria in Principio la cui rendita spettava al Primicerio
titolare della omonima Chiesa. Il reverendo Cicerale costituì la
rendita mediante il testamento redatto dal notaio Giovanni Javarone, al
tempo del Vescovo Mons .Giacomo Filippo Bescapé (1659-1672) di
Lodi. L’eredità lasciata alla Chiesa di Santa Maria in Principio
era costituita da una vigna ed una casa. Con le relative rendite bisognava
celebrare una messa al giorno nella chiesa e fare elemosine. Inoltre aveva
lasciato un capitale di 300 ducati dati al Duca d’Ascoli a seguito
di stipula di polizza. Trenta e più ducati dovevano essere impegnati
per accomodare la chiesa.

Una seconda rendita testamentaria in favore della Chiesa di Santa Maria
in Principio fu fatta da tale Nicola Russo di Ascoli. Non si conosce la
natura e l’entità della rendita.

Le informazioni su come era fatta la Chiesa Cattedrale di S. Maria in
Principio sono state assolutamente carenti fino al 1966, quando il sacerdote
don Antonio Silba ha trovato, nell’archivio storico della Curia
della vecchia Diocesi, un manoscritto che permette di far uscire l’antica
Cattedrale della Diocesi ascolana dal buio riguarda secolare che l’
ha avvolta. Il manoscritto riguarda le visite canoniche che il Vescovo
Mons. Felice Via, cosentino, effettuò dal 1673 al 1679 alle Chiese
e strutture ecclesiastiche della Diocesi di Ascoli e Ordona.

Il manoscritto, del tipo “in folio” ha le dimensioni di 19
cm. x 27 cm., è privo di copertina, a fogli piegati a quinterni
cuciti, stato di conservazione discreto anche se parzialmente scucito;
la numerazione dei fogli inizia da 40 e si chiude a 215, nella sequenza
della numerazione dei fogli sono presenti diverse incongruenze;i primi
40 fogli non sono scritti, i tipi di calligrafia e quindi i redattori
dei testi sono numerosi . I periodi delle visite coincidono con i mesi
di aprile e maggio, a volte anche il mese di marzo e qualche altro mese.

Il Vescovo Felice Via, resse la Cattedra della Diocesi di Ascoli dal 1672
al 1680, esperto in diritto canonico, proveniva da Roma dove aveva ricoperto
cariche. Come si dice era un uomo di polso e con le idee chiare, cercò
di mettere ordine nelle strutture ecclesiastiche ascolane. Tale tipo di
attività emerge chiaramente dalle “Visite canoniche”
che effettuò costantemente nell’arco di 9 anni.

La descrizione della Chiesa di S .Maria in Principio ha il limite che
non descrive l’edificio sacro dal punto di vista architettonico
e dei materiali, per cui lascia ancora molte parti ancora nel vago. La
descrizione è fatta in funzione degli arredi e della suppellettili
presenti nelle cappelle e sullo stato di conservazione dell’edificio,
ai fini di accertare se esisteva il minimo decoro per celebrare i riti
religiosi, nonché le rendite e lasciti intitolati alla Chiesa.

I fogli del manoscritto riguardanti le visite canoniche fatte alla Chiesa
di S. Maria in Principio vanno dal n .204 al n. 208, per complessive 8
facciate. Le visite furono cinque, fatte negli anni: 1673, 1675, 1676,
1678, 1679. Riportiamo integralmente i titoli originali del manoscritto
delle singole visite:

a) Visitatio Cappella, seu Ecl.e S.Marie de Principio die 18 Aprilis 1673
hora vigesima prima;

b) Visita non datata, ma presumibilmente fatta il 1675;

c) Hoggi 17 maggio 1676 Asculis;

d) Die 30 maij 1678;

e) Die 20 mensis 8bris 1679.

La visita più descrittiva e ricca di particolari è la prima,
sottoscritta dal Vescovo e dal canonico segretario Potito Visciòla,
mentre l’ultima oltre che dal vescovo è sottoscritta dal
canonico Michelangelo Carrara, segretario. Le altre visite non sono sottoscritte.


Il resoconto della visita esordisce ubicando la Chiesa nella

Città vecchia, in cima al monte e vicino alla Chiesa della Santissima
Annunziata, già visitata. Il canonico Lizza, componente della commissione
di visita, riferisce di aver udito da suo zio, di 105 anni di età,
che quella era la Chiesa Matrice della Città vecchia e che la Città
“era habbitata da quattro generazioni di persone distinte secondo
la qualità di esse”.

Il documento tace completamento sull’esterno della Chiesa,

non fa cenno alcuno circa le dimensioni qualitative dell’edificio
(grande, alto, largo, lungo, eccetera), la torre campanaria non risulta
oggetto della visita. Sono assenti anche le informazioni circa le condizioni
di conservazioni delle strutture esterne, eccetto il tetto. Le notizie
riguardano solo l’interno della Chiesa.

Dal manoscritto desumiamo che la Chiesa era costituita da un’unica
aula con in mezzo un arco, che suddivideva la zona posteriore dell’aula
in due piani distinti e sovrapposti. Non è riferita la tipologia
dell’arco o a che altezza si trovasse il piano superiore.

Nella parte superiore erano presenti le due Cappelle principali della
Chiesa: la prima dedicata alla Madonna del Principio, la seconda alla
Madonna dell’Assunta con accanto l’altare del Crocifisso.

Nella parte inferiore, al piano di pavimento dell’aula, stava la
Cappella della Madonna con Sant’ Anna.

Al di sotto del piano della Cappella della Madonna con Sant’ Anna
e del piano dell’aula, esisteva una cappella sotterranea senza nessun
titolo designata come “altra con due statue”. A tutti gli
effetti doveva essere una vera e propria cripta.

Nell’aula della Chiesa, sulla mano sinistra, esisteva una effige
della Madonna, senza nessun titolo, con altare. Sul pavimento si riferisce
che è in analoghe condizioni dei luoghi che hanno subito l’usura
dell’uso e del tempo, tiene una parte del tetto senza embrici, tutti
i muri perimetrali non sono in stato di degrado, ma hanno bisogno di lavori
di risanamento.

Queste poche note sul tempio mariano ascolano, già Cattedrale della
Diocesi, nonostante fosse stata declassata a Chiesa di quartiere, che
i fedeli frequentatori della Chiesa si fossero progressivamente ridotti
per la sua ormai ubicazione extra moenia rispetto alla città, nel
1673, ossia 217 anni dopo il trasferimento della Cattedrale Vescovile,
permettono di affermare che le condizioni fisiche dell’edificio
religioso sono ancora discrete e che l’incipiente stato di degrado
poteva essere rimosso con una buona manutenzione straordinaria.

Osserviamo che nella Chiesa non vi erano cappelle o altari di devozione
dedicati a santi ma solo esclusivamente dedicati alla Madre di Dio: in
Principio, Assunta, con Sant’Anna o senza attributo. E’ la
conferma della intensa devozione millenaria alla Madonna della Città
di Ascoli, presente e testimoniata ancora nei tempi moderni con la dedizione
delle numerose Chiese ascolane: Natività della B. V. M., Madonna
di Pompei, Madonna dell’Incoronata, Madonna del Soccorso, Madonna
della Libera, S. Maria degli Angioli, S. Maria del Popolo.

Alle scarne notizie riguardanti l’architettura dell’antica
Cattedrale, nel manoscritto del Vescovo Mons. Felice Via, si riscontrano
maggiori informazioni sugli arredi sacri e soprattutto sulla dotazione
delle suppellettili e dei paramenti sacri necessari alla celebrazione
delle funzioni religiose nelle singole cappelle. La minuziosa descrizione
ci permette di capire che all’epoca della visita la Chiesa è
discretamente dotata e funzionante.

Dalla descrizione della prima Cappella superiore di S. Maria in Principio
apprendiamo che sull’altare è dipinta sul muro l’immagine
della Madonna, protetta da una anta di vetro con velo intorno e un panno
con l’effige della Madonna, utilizzata come tenda sull’anta.
Nella Cappella è segnalata la presenza di sei “tavole antiche
et indorate” con su dipinte sei figure non individuate, certamente
soggetti di religiosi, appesi alle pareti e in non buone condizioni di
conservazione (“hanno patito”). Per le “tavole antiche
et indorate” che hanno “patito” il tempo per essere
vecchie e antiche, è probabile l’ipotesi che esse si riferiscano
certamente a santi dipinti alla maniera bizantina, risalenti all’alto
medioevo ascolano.

L’altare è dotato di due candelieri d’argento privi
di sgabello, la pietra sacra non è ben inserita nel piano in quanto
più alta sul lato anteriore, la carta di gloria, una tovaglia e
una sottotovoglia per l’altare. Uno sgabello in discrete condizioni,
due cuscini rossi e bianchi e un paliotto analogamente rosso e bianco
arredano la cappella.

Un calice con la coppa indorata, una patena, un corporale nuovo bianco,
una coppia di palla, una coppia di purificatoio, una borsa turchina e
bianca, una borsa rossa e bianca e un velo a quattro colori costituiscono
le suppellettili per le celebrazioni eucaristiche.

Il manoscritto registra nella cappella la presenza di un messale molto
rovinato, di cui però si conserva il Canone. Un camice, un ammitto,
un manipolo scuro e una pianeta di cataluffa color oro costituiscono i
paramenti sacri. La pianeta ha bisogno di interventi di accomodamento
nella parte anteriore e così pure il manipolo.

Prima della Cappella dedicata a S. Maria in Principio c’è
la Cappella dedicata alla Madonna dell’Assunta. La Madonna dell’Assunta
è rappresentata dipinta su tavola, analogamente alle sei tavole
indorate della Cappella di S. Maria in Principio, ma a differenza di quelle
è in buono stato di conservazione e, soprattutto, il manoscritto
riporta un giudizio di qualità del dipinto definendo l’immagine
della Madonna “molto devota”, giudizio evidentemente legato
alle caratteristiche espressive ed alla fattura artistica dell’immagine
sacra.

Anche questo altare è dotato di due candelieri d’argento,
ha la pietra sacra ben conservata, è privo di sgabello, ha un paliotto
turchino vecchio, uno stipo di legno (armadio) per conservare la roba
descritta.

Davanti a questa Cappella dell’Assunta i visitatori registrano la
presenza della sepoltura del Primicerio Pascarello d’Antolino, vissuto
tra la fine del XV secolo e la prima metà del XVI secolo e titolare
della Chiesa ex Cattedrale. Una cronaca della metà del secolo scorso
riporta che la sepoltura del Primicerio era ubicata davanti alla Cappella
del Crocifisso. Il manoscritto vescovile permette di rettificare l’informazione.
L’errore di ubicazione fu certamente indotto dl fatto che vicino
alla Cappella dell’Assunta stava l’altare del Crocifisso.

I visitatori riferiscono che sull’altare del crocifisso vi è
una croce vecchia, due candelieri inargentati, una carta di gloria lacera,
una tovaglia e sottotovaglia d’altare usata, senza cuscini, uno
sgabello buono, un paliotto di cataluffa bianco, verde e rosso (paonazzo)
un poco malandato che ha bisogno di risarcimenti. La pietra sacra per
essere piccola constatano che non era di quell’altare.

La presenza di un altare del Crocifisso nell’antica Cattedrale ci
permette di fare un’ipotesi probabile e plausibile circa la provenienza
del bellissimo Crocifisso di scuola carolingia, cioè che il Crocifisso,
in dotazione all’attuale Cattedrale della Natività della
Beata Vergine Maria, possa provenire dall’antica Chiesa medievale
ed ex Cattedrale di santa Maria in principio.

Nella zona inferiore della Chiesa, a destra dell’ingresso troviamo
una terza cappella dedicata alla Madonna, questa volta è accompagnata
da S. Anna: la Cappella della Madonna con S. Anna. Non è precisato
se sull’altare è presente una statua, una icona o un affresco,
il documento riferisce che l’altare presente è antico, privo
di candelieri, pietra sacra, sgabello e cuscini. La carta di gloria non
è menzionata. Vi è una tovaglia vecchia e un paliotto di
cataluffa bianco, rosso e nero.

Una notizia insolita è che davanti a questa Cappella esisteva un
sinodi sepoltura dove venivano seppelliti gli zingari. Questo fatto doveva
essere collegato a qualche privilegio concesso dal vescovo e/o dal Capitolo.

Sotto questa Cappella, interrata, vi è una ulteriore Cappella di
cui non è precisato a che è dedicata. Sono presenti due
statue definite “molto ordinarie”, in non buono stato di conservazione
(maltenute). L’altare è privo di pietra sacra. La Cappella
non è dotata di alcuna comodità, priva anche degli arredi
e delle suppellettili sacre.

Sul lato destro dell’ingresso vi è un quarto altare dedicato
alla Madonna. Sull’altare è presente una effige della Madonna
in cattivo stato di conservazione (maltenuta). L’effige è
definita antica, ma non è precisato su che supporto sia stata realizzata:
legno, muratura, tela. Pertanto nulla si può affermare se l’effige
era una icona, un affresco, una tela, un basso o altorilievo scolpito
su legno, marmo o pietra.

In definitiva nella Chiesa erano presenti 5 altari o Cappelle fuori terra
e una interrata (cripta?), tre nella zona superiore della Chiesa e due
nella zona inferiore, oltre a quella interrata. Il manoscritto non fa
nessun accenno a locali annessi all’ex cattedrale quali: campanile,
sacrestia, antisacrestia, depositi. Archivio, eventuale antica sala del
Capitolo, locali di abitazione del Parroco,eccetera. Eppure questi locali
o alcuni di essi dovevano essere presenti e attigui alla Chiesa in quanto,
il medesimo Vescovo Mons. Felice Via e i suoi accompagnatori,quando si
recarono alla Chiesa di Santa Maria in Principio per effettuare la terza
visita canonica, il 17 maggio 1676, trovarono la porta della Chiesa serrata,
“atteso la Chiesa staua in potere d’un rifugiato in casa”,
poi aperta dall’interessato: occupatore abusivo, custode o uomo
di fiducia?

Nel XVII secolo la normale attività religiosa e pastorale nelle
Chiese e Cappelle di Ascoli era legata alla presenza o meno di patrocini
di famiglie nobili o economicamente facoltose che si assumevano l’onere
finanziario della manutenzione degli edifici e di quanto necessario al
funzionamento per le celebrazioni dei riti liturgici.

Le Chiese dei Monasteri venivano mantenute e curate dagli Ordini religiosi
residenti. Le Chiese delle confraternite di fedeli laici congregati venivano
assegnate dal vescovo e dal Capitolo Cattedrale, a volte erano costruite

direttamente con propri fondi, erano curate e mantenute dai fratelli congregati.
Spesso fedeli alla loro morte lasciavano eredità, sotto forma di
legati, in favore i Chiese i cui frutti costituivano il sostentamento
economico sia per la conservazione dell’edificio e sia per il suo
funzionamento religioso.

Le Chiese prive di adeguato sostentamento economico erano destinate all’abbandono,
alla scomparsa fisica. Nei casi più favorevoli si conservano i
nomi nei toponimo della zona, in altri casi scompare anche dalla memoria
della collettività. La Chiesa di S. Maria in Principio rientra
in quest’ultimo caso.

Nel 1673, anno della visita canonica del Vescovo Mons. Felice Via, l’ex
Cattedrale di S. Maria in Principio è ancora aperta al culto nonostante
la posizione extra moenia, cioè fuori le mura della cittadine e
la drastica diminuzione della popolazione di qualche decennio prima a
causa della peste.

Come è noto alla Chiesa spettava il beneficio dell’eredità
del religioso don Lucio Cicerale il cui titolare era il Primicerio Primo
del Capitolo Cattedrale al quale spettavano: i frutti della polizza per
il prestito al Duca d’Ascoli di 300 ducati, una casa e una vigna.
Oltre alla eredità di un certo Nicola Russo di cui non si conosce
la consistenza. Trenta ducati del legato Cicerale dovevano essere destinati
alla manutenzione della Chiesa.

Tanto il Vescovo constatava durante la prima visita del 1673. prima della
seconda visita del 1675, presumibilmente l’anno prima, Gaetano Rinaldi
costituisce il beneficio di Jus Patronato nella Cappella di S. Anna posta
nell’ex Cattedrale con la dotazione i 15 ducati per celebrare 15
messe e 3 ducati per il mantenimento della stessa.

Nella visita dell’anno successivo, 17 maggio 1676, il Vescovo trova
la situazione analoga a quello dell’anno prima, salvo che le messe
festive non si celebravano più dalla fuga del Primicerio Primo
Gelpio titolare e rettore della Chiesa. Verifica che lo stesso Gelpio
in precedenza aveva trasferito presso la nuova Cattedrale della Natività
della Beata Vergine Maria e in casa di amici suoi paramenti e suppellettili
di S. Maria in Principio, tra cui il camice e il calice. A proposito del
reverendo Gelpio annotiamo che a seguito della visita del 1673 alle dotazioni
delle dignità capitolari fu trovato sprovvisto di parecchia roba
necessaria alle celebrazioni liturgiche, tanto che il Vescovo stabilì
che se entro il successivo mese di aprile il suddetto religioso non si
fosse dotato di un camice, una cotta, un cappuccio, due ammitti e quant’
altro avevano gli altri capitolari comminava una multa di venti carlini
a favore della sacrestia della nuova Cattedrale. Evidentemente i paramenti
di S. Maria in Principio furono spostati nella nuova Cattedrale per evitare
la multa comminata dal Vescovo.

Dopo la fuga del Primicerio Primo Gelpio, nella Chiesa si celebravano
solo le messe del beneficio della famiglia Rinaldi, dal sacerdote don
Geronimo Montenigro su istanza del chierico Carlo Rinaldi. Nella Cappella
di S. Anna, durante la visita, si constata la presenza di un paliotto
di taffettà rigato, d’uno sgabello, di una tovaglia d’altare,
suppellettili e miglioramenti di fabbrica.

Per ripristinare la celebrazione delle messe festive nella Chiesa, secondo
quando previsto nel legato Cicerale, incarica il Canonico don Potito Gabaldi,
anche se non Primicerio, di celebrare le messe prescritte dal legato,
assegnandogli le rendite relative, con la raccomandazione che ciò
non sia di pregiudizio alle attività della Cattedrale. La nomina
evidentemente era provvisoria fino alla nomina del primicerii Primo titolare
della Chiesa.

Infatti nella visita del 30 maggio 1678 con la dignità di Primicerio
Primo ritroviamo don Antonio Colucci e quindi titolare della Chiesa e
delle rendite ad essa relative. Mentre l’altare della Madonna del
Principio e dell’Assunta presentano cinque paliotti, quattro tovaglie,
sei candelieri solo sull’altare della Madonna, senza candelieri
risulta quello dell’Assunta. La Cappella di S. Anna risulta dotata
di un paliotto, senza tovaglia e senza candelieri. Il Vescovo interdisce
l’altare e la Cappella e stabilisce il termine di 4 mesi affinché
il titolare del patronato, chierico Carlo Rinaldi, adempia a fornire la
Cappella di quanto necessario.

Nella visita del 20 ottobre 1679 il titolare Primicerio Primo, don Antonio
Colucci, conferma che le messe festive vengono celebrate normalmente.
Il canonico don Ottavio Rinaldi, figlio di Carlo Rinaldi, conferma la
celebrazione delle messe prescritte dal patronato con soddisfazione del
beneficiato ed anche con il concorso del popolo. Il popolo accorre ancora
alle celebrazioni liturgiche fatte nell’ex cattedrale. A conclusione
della visita il Vescovo invita il titolare ed eseguire riparazioni dove
si suonano la campane ed osserva che l’accensione della lampada
(lampa). La risposta dell’interessato è che le rendite di
don Lucio Cicerale non bastano per comprare l’olio necessario. La
risposta dell’interessato è che le rendite di don Lucio Cicerale
non bastano per comprare l’olio necessario.

A conclusione di questa rassegna delle visite vescovili di Mons. Felice
Via abbiamo appreso che i sacerdoti e dignità capitolari che hanno
operato nella vecchia Chiesa di S. Maria in Principio, nella seconda metà
del 1600, sono:

• Don Arcangelo Bartocci, Primicerio Primo, fu testimone della
stesura dell’atto notarile di Giovanni Javarone, che istituisce
il legato del reverendo don Luccio Cicerale in favore di S. Maria in Principio;

• Don……Gelpio (non si conosce il nome), Primicerio Primo,
prima della sua fuga, asporta dalla Chiesa di cui è titolare paramenti
e suppellettili;

• Don Antonio Colucci, Primicerio Primo, successore del reverendo
Gelpio;

• Don Potito Gabaldo, canonico, surroga il rev. Gelpio per incarico
del Vescovo per assicurare la celebrazione delle messe duranti i giorni
festivi nella Chiesa di S. Maria in Principio;

• Don Geronimo Montenigro, sacerdote, incaricato della celebrazione
delle messe nella Cappella di S. Anna in ossequio a quanto previsto dal
patrocinio sulla cappella da parte della famiglia Rinaldi.

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