La Chiesa di Cerignola

L'arcipretura nullius di Cerignola
Le prime notizie sulla presenza religiosa a Cerignola sembrano collegarsi ad un’epigrafe posta sul lato sinistro dell’entrata principale della chiesa di San Francesco d’Assisi in Via Chiesa Madre, nel quartiere «Terra Vecchia», che riporta la seguente iscrizione:

GOFFRIDUS SOBOLES LUPOIS MILITIS ISTO
STANS TUMULO TOTO SERVIVIT TPE XPO
HUIC DEDIT ECCLE BONA MULTA REFECIT ET
IPAM CUI PCOR OMIPS CULPA VELIT EE REMISSA

La lapide, probabilmente risalente al XIII secolo, attesta l’esistenza della chiesa già dai tempi antecedenti al documento marmoreo, dato che lo stesso Goffredo durante la sua vita offrì parte dei suoi beni per restaurarlo (“refecit”).
Fra le citazioni più antiche che riguardano la chiesa di Cerignola emerge il Quaternus de Excadenciis (et Revocatis) fatto compilare da Federico II di Svevia e risalente alla metà del XIII secolo che nelle pagine riguardanti Cydiniola, registra sul territorio l’esistenza di una chiesa intitolata a sancti Petri.
La conferma della presenza di una realtà ecclesiastica a Cidoniole durante il medioevo è fornita principalmente dall’atto di obbedienza del clero locale formulato a favore di Enrico, eletto arcivescovo di Bari e di Canosa, il 16 marzo 1255.
Nel 1308, la chiesa di Cerignola risulta compresa nella circoscrizione ecclesiastica di Canosa.
Dal documento del XIV secolo emerge quindi la presenza di alcune realtà ecclesiali intitolate rispettivamente a sancte Lucie, a sancte Marie che insieme alla ecclesie sancti Petri provvedevano alla cura spirituale della popolazione.
Ad ulteriore conferma di quanto già affermato, valgano le informazioni contenute in altre testimonianze del XIV secolo: la Decima dell’Anno 1310, nella sezione riguardante il territorio canosino registra la presenza di un Clerici Laquedoniole unc. II tar. XX, e nel 1323, registrando analogamente la subordinazione della chiesa di Cerignola a quella di Canosa, nomina un Archipresbiter et clerici Cidaniole de iurisdictione prepositi canusini unc. II tar. XX.
È possibile quindi affermare con certezza che fin dal XIII secolo, il borgo di Cidaniole si avvaleva di una presenza religiosa alquanto numerosa, anche se nello stesso periodo alcuni sacerdoti locali compaiono nei documenti riguardanti le vicende clericali dei paesi limitrofi. Il 15 ottobre 1476, Bonifacius Gaytanus, priore dell’Ospedale di San Giovanni Gerosolomitano di Barletta vendeva a Bachassino reverendi d. episcopi Cannarum un beneficio di due vigne e otto ordines, sito nel territorio di Barletta, in fundo callani, per il prezzo di un’oncia di carlini d’argento: fra le sottoscrizioni autografe dei partecipanti all’atto, si constata la presenza di dopnus Marinus de Cirignola; inoltre fra i vari documenti relativi agli affari immobiliari dei ven. Sacerdoti di S. Giacomo in Barletta, nel periodo di tempo compreso fra il 1518 ed il 1523, si riscontra assiduamente la partecipazione di D. Nicolaus de Cirignola.
Il 13 ed il 14 aprile 1568, mons. Tomaso Orfini, visitatore apostolico del Regno di Napoli, ispezionò a Cerignola la chiesa maggiore e la chiesa di santa chaterina di frati di Santo Agostino.
Per un’analisi cronologica più completa ed esauriente, conviene rivolgere, a questo punto, l’attenzione verso gli atti della Visitatio facta per Illustrissimum et Reverendissimum Dominum D. Gasparem Cincium Romanum Utriusque Iuris Doctorem Episcopum Melphiensem et Rapollensem de ordine sanctissimi Domini Nostri D. Gregorij Divina Providentia papa XIIJ realizzata nella terra Cirignola nullius Diocesis nel 1580, che oltre a rappresentare un tipico esempio dell’esecuzione pratica dei principi rigorosi imposti dal Concilio di Trento, costituiscono una valida attestazione della situazione locale alla fine del XVI secolo.
Oltre ai decreti emanati ed ai controlli effettuati dal vescovo durante la visita apostolica, dai documenti risulta che in quel periodo la qualificazione della chiesa della Terra Cirignola era di diocaesis nullius: mancando di una sede vescovile, l’arciprete e tutto il clero locale erano soggetti direttamente all’autorità papale; la visita ebbe inizio il Die Dominico qui fuit sextus mensis novembris 1580 nella maiori Ecclesia sancti Petri, ossia nella chiesa principale dedicata a San Pietro; due giorni dopo il commissario apostolico recatosi a visitare l’Hospitale sancte sophie sottolineò che nulla fu repertum dignum reformatione; nei Die Mercurij et Iovis fuerunt visitati et examinati omnes presbiteri et Clerici ut Infra, a cominciare dall’arciprete Leonardo de Leo; la chiesa nullius di Cerignola si avvaleva anche di diaconi, suddiaconi e chierici; tra le varie prescrizioni emanate, mons. Cenci stabilì inoltre l’elenco de Le Feste da quardarnosi

Ai primi anni del XIX secolo, la chiesa locale risulta ancora del tipo ricettizia innumerata.
Nei territori meridionali la chiesa ricettizia, rispetto alle norme impartite dal Concilio di Trento, rappresentava il modello fedele agli antichi insegnamenti della chiesa derivati direttamente dai principi vigenti nelle prime comunità cristiane e sconvolto dalla «Nuova Disciplina», conseguenza del feudalesimo dell’XI secolo: la caratteristica primaria era costituita dalla massa comune dei beni, in quanto l’appartenenza dei singoli sacerdoti implicava la condivisione delle rendite provenienti dalle diverse proprietà capitolari; i preti che non riuscivano ad inserirsi in tale meccanismo erano costretti a dipendere dalle ricche famiglie locali che assegnavano ai sacerdoti la cura delle cappelle private; il sacerdote escluso dalla massa comune al quale non era affidata nessuna cappella era quindi obbligato a guadagnarsi da vivere impegnandosi in attività poco attinenti coll’ambito spirituale.
L’organizzazione della chiesa ricettizia innumerata prevedeva che le ordinazioni sacerdotali dipendessero dalle esigenze locali, escludendo in questo modo il numero chiuso.
L’attuazione della convenzione stabilita il 16 febbraio 1818 fra il Papa Pio VII e il re delle Due Sicilie Ferdinando I, impostata sull’incorporamento di alcune sedi episcopali del regno, portò il 14 giugno 1819 all’erezione della chiesa di Cerignola a sede vescovile, che con la bolla Quamquam per Nuperrimam fu unita aeque principaliter a quella della vicina Ascoli Satriano.
La nomina costituì il risultato di un processo avviato diversi mesi addietro: l’inchiesta atta ad accertare l’idoneità delle condizioni esistenti a Cerignola in quel periodo era stata affidata ad Ignazio Diego Caracciolo, vescovo di Palestrina e Cardinale di Santa Romana Chiesa, e tramite questi ad Arcangelo Lupoli, Arcivescovo di Conza.
La documentazione inviata dall’arcivescovo al cardinale Caracciolo il 10 febbraio 1819 risulta particolarmente ricca di informazioni: dopo aver sottolineato l’esistenza sul territorio di circa diciassettemila anime, Lupoli evidenziò che la direzione spirituale delle anime era affidata a «sei Parrochi e due Economi, che esercitano la cura attuale in quattro diverse Chiese parrocchiali delle quali la prima è la Chiesa Collegiale».
L’arcivescovo evidenziò inoltre che nel passato il territorio costituiva la sede di cinque monasteri appartenenti a diversi ordini religiosi, costretti ad abbandonare la zona a causa della politica di soppressione espressa dal governo napoleonico: «Ma tutti questi riguardevoli Chiostri, per le passate tristissime calamità, furon chiusi ai Religiosi. Se non che lo zelo, e la pietà del Clero e del popolo ha saputo tener aperte al bene e al decoro della religione, e della patria così queste Chiese, che tutte le altre disperse per la Città al n. di 14. Oltre le quali ho rilevato di esservi sei Congregazioni di Confratelli laici, un ben istituito Orfanotrofio, un Ospedale, e tre Monti di Pietà. Ma questo spirito di pietà riluce vi è maggiormente nelle 21. Chiese Rurali».
L’arcivescovo Lupoli suggeriva per la breve «distanza di miglia 18» di aggregare l’erigenda sede a quella dell’antica Ascoli Satriano, configurando i limiti della nuova diocesi «a Tramontana col territorio di Salpe, a Levante col territorio di Barletta, Diocesi di Trani, a Mezzogiorno col territorio di Melfi, a Ponente coi Villaggi di Corleto e Siepe della Diocesi di Ascoli».
Nella descrizione informativa inviata a Roma, l’arcivescovo riferì sul numero delle dignità e dei canonici componenti il Capitolo, sul valore delle prebende e degli stipendi, sui tipi di ornamenti e sui privilegi appartenenti al Capitolo, ma soprattutto sui fondi a cui attingere il denaro per la nuova mensa e la rendita vescovile, giustificando la carenza di documenti comprovanti le diverse dignità con l’allusione ad un incendio al quale «fu soggetto l’archivio nel 1799».
Presa visione dell’intera documentazione, Papa Pio VII il 14 giugno 1819 promulgò la bolla Quamquam per nuperrimam con la quale l’arcipretura nullius di Cerignola fu elevata a sede vescovile: «con l’Apostolica autorità sopprimiamo ed estinguiamo in perpetuo la ricordata Chiesa Parrocchiale e la sua asserita Collegialità, e il titolo e la denominazione Nullius con la suddetta ordinaria e quasi-Vescovile giurisdizione che la stessa località da gran tempo aveva posseduto, [...] con la stessa Apostolica autorità erigiamo anche in perpetuo e istituiamo il più volte nominato luogo di Cerignola, [...] in Città veramente episcopale [...] con tutti gli onori, diritti, prerogative e privilegi dei quali le altre Città del detto Regno insignite di sede vescovile e i loro cittadini usano, fruiscono, ottengono e godono [...]: e [erigiamo] la detta Chiesa Parrocchiale di San Pietro in Cattedrale Cerignolana, da chiamarsi anche, come prima, Parrocchiale, con lo stesso medesimo titolo del Principe degli Apostoli [...] e con la detta Apostolica autorità uniamo in perpetuo aeque principaliter, annettiamo e incorporiamo la stessa così eretta Chiesa Cattedrale Cerignolana all’altra Chiesa Cattedrale Ascolana; in modo tuttavia che nessuna delle due sia soggetta all’altra, ma ambedue siano ritenute, e siano realmente, vicendevolmente indipendenti, e di entrambe le Chiese sia capo l’unico e identico Sommo Sacerdote, che sia ritenuto e chiamato contemporaneamente Vescovo Ascolano e Cerignolano». La bolla papale conteneva i precetti derivanti dalle disposizioni emanate dalla Santa Sede, anche se le indicazioni per l’organizzazione economica della chiesa locale non ne mutavano la massa comune: «Noi espressamente comandiamo e ordiniamo che, tolte le prestazioni più sopra indicate per la Mensa Vescovile, per la predetta dote del Seminario, per le altre spese della fabbrica della Chiesa Cattedrale, per la sacra suppellettile destinata al Culto Divino e per gli stipendi degli inservienti da attribuire secondo l’uso, i redditi sopravanzati, che costituiscono la terza parte della somma totale assegnata come detto sopra ai singoli Capitolari, siano fedelmente adibiti ed erogati solo per le distribuzioni quotidiane, facendo tuttavia tra Dignitari, Canonici e Mansionari una ripartizione tale per cui si debba avere e conservare sempre la ragione proporzionale delle somme che furono costituite per le Dignità, per i singoli Canonicati e Prebende e per i Mansionarati o Beneficiati suddetti». Prescrivendo l’istituzione del Capitolo Cattedrale, le disposizioni papali designarono quale primo vescovo di Cerignola Antonio Maria Nappi, già pastore della diocesi di Ascoli Satriano, assegnando all’antica Ecclesia sancti Petri il titolo di «Chiesa Cattedrale».