Dal libro di F. Capriglione "La patria di origine del martire Potito", Ascoli Satriano 1978 si legge:
A - DAL SECONDO AL QUINTO SECOLO
Il culto del martire Potito seguì, nei primi secoli, la normale evoluzione del culto verso i martiri cristiani. Quindi il suo culto fu piuttosto contenuto prima del 313 e consistette principalmente in quegli onori che i parenti rendevano ai loro morti. Ma lentamente al cerchio ristretto della famiglia si sostituì la comunità cristiana locale. Gli onori al martire venivano resi presso la sua tomba nell'anniversario della morte. Perciò il 13 gennaio di ogni anno si doveva certamente radunare sulla riva del Calaggio-Carapelle la comunità cristiana locale, che vi consumava un pasto funebre, vi celebrava l'eucarestia, pronunciando il nome del martire. Tutto ciò compatibilmente con l'alternarsi delle persecuzioni.
Dopo il 31 il culto dei cristiani vero il martire prese uno slancio di prim'ordine, mancando ormai ogni contrasto delle autorità romane. perciò i vecchi riti si accomodarono alla nuova situazione e insensibilmente si modificarono. la libertà di culto portò soprattutto una maggiore solennità nella celebrazione dell'anniversario: il luogo delle riunioni clandestine di pochi cristiani intorno al sepolcro del martire cominciarono a radunarsi masse numerose provenienti spesso da località non tanto vicine. venivano invitati anche i vescovi vicini. Sorse pertanto il desiderio di adattare il luogo di riunione alle nuove esigenze e sulla tomba del martire venne costruito un "martyrium!, cioè un oratorio di piccole dimensioni.
Nel IV secolo ogni chiesa cercava avidamente i propri martiri per iscriverli nel martirologio e le comunità cristiane che avevano rapporti di amicizia si scambiavano fra loro gli anniversari dei martiri, il cui culto perdeva sempre più il carattere locale per divenire universale. Così il martire Potito nel secolo IV venne conosciuto e venerato dalla chiesa napoletana, il cui vescovo Severo (363-410 circa) eresse un monastero intitolato a S. Potito. Con questa erezione il culto del martire venne a trovarsi legato all'evoluzione del monachesimo.
La seconda metà del secolo IV è precisamente il tempo in cui si diffondeva il monachesimo in Italia, specialmente in Campania.
B - DAL QUINTO AL NONO SECOLO
Nel V secolo l'Italia era quasi interamente dominata dai Bizantini, mentre il monastero di S. Potito a Napoli era tenuto dapprima da monaci di S. Basilio e quindi da monache dello stesso ordine.
Il VI-VII secolo è il periodo di guerra tra Bizantini e Longobardi per il dominio della penisola, che venne divisa tra loro. I Bizantini dominarono nella Pentapoli, nel Ducato Romano nelle tre isole maggiori, in Puglia e Calabria e nell'esarcato di Ravenna; i Longobardi nel Ducato di Benevento e di Spoleto e al Nord. Si spiega quindi facilmente il passaggio del culto di S. Potito dalla Puglia all'Esarcato di Ravenna, ambedue dominati dai Bizantini e aperti al flusso dei monaci basiliani.
Il VI-VII secolo è anche il periodo di nascita ed espansione del monachesimo benedettino: difatti le monache basiliane del monastero di S. Potito a Napoli presero la regola di S. Benedetto[D'Aloe, Catalogo..., p. 167]. Nel 663 Ordona, antica sede vescovile cui anche Ascoli era soggetta, si schierò coi Longobardi e venne distrutta da Costante II di Bisanzio, sbarcato a Taranto per restaurare l'Esarcato di Ravenna. Ma Costante II venne sconfitto dai Longobardi a Benevento: Ordona e Ascoli passarono così sotto la diretta dipendenza del vescovo di Benevento e vennero aggregate al ducato di Benevento.
Col secolo VIII cominciò anche in occidente l'usanza della traslazione del corpo del martire e della distribuzione delle reliquie. Difatti il ducato di Sicardo (818-39)avidissimo di corpi di santi, le reliquie di s. Potito furono trasportate dal luogo del martirio a Benevento, donde ebbe origine il culto beneventano del martire, che portò a intitolargli una parrocchia [Codice miscellaneo IX. C. 33 della Bibl.Naz. di Napoli, del secolo XVI-XVII; codice 28 della Bibl. Capitolare di Benevento, del secolo XIII-XIV, f. 56r]. Ma ormai dal secolo VII in poi i veri artefici materiali della diffusione del culto verso S.Potito furono i monaci benedettini. E questo per due ragioni egualmente determinanti:
1) perché vari monasteri benedettini vennero intitolati a S. Potito: i monaci infatti si scambiavano il culto dei santi, non fosse altro che per
il continuo spostamento di abati e monaci dall'uno all'altro monastero;
2) perché il luogo del martirio e il luogo originario del culto verso il martire divennero proprietà dei benedettini.
Sotto il ducato beneventano di Romualdo II (706-731) viene ricordato un Teodorico abate di S. Pietro "ad aquam Sancti Petiti" [Di Meo, Annali..., ann. 709, 2]. Nell'anno 839 vene ricordata una parrocchia di S. Potito, appartenente ad Eclano [Chronicon Vulturnense, ed. Federici, I, Roma 1925, p. 297]. Nell'anno 864 l'abate cassinese Bertario donò al conte Guido l'usufrutto del monastero di S. Potito [Chronica Monasterii Casinensis (MGH Scriptores, VII), 604; Di Meo, Annali..., ann.864, 2]. Poiché nell'849 il ducato longobardo di Benevento venne diviso nei tre principati di Benevento, Capua e Salerno, non desta meraviglia trovare il culto del martire anche a Capua, sempre legato al monachesimo benedettino [Monaco, Sanctuarium Capuanum, Neapoli 1630, p. 391, 424, 446, 448].
La diffusione del culto di S. Potito in tutta la Campania nel IX secolo portò alla sua codificazione nel Martirologio Marmoreo di Napoli [Mallardo, Il Calendario..., p. 240; Delehaye, Hagiographie Napolitaine..., "Analecta Bollandiana", LVII (19399, 8-9]. D'altra parte i più importanti codici della "Passio S. Potiti" dai più antichi del secolo VIII ai più recenti, appartenevano una volta a monasteri benedettini. dal monastero di Reichenau sul lago di Costanza [Becker, Catalogi..., 6, 129; 10, 9], a quello di casa Nova [Poncelet, Catalogus codicum..., "Analecta Bollandiana", XXX (1911). 169]. di S. Maria di Treveri [Codice 1152 della Bibl. pubblica di Treveri], ecc. Quanto ai possedimenti benedettini in Puglia e in particolare nell'agro di Ascoli Satriano, si dispone ormai di una documentazione abbondante. Poiché sono proprio i possedimenti benedettini in agro di Ascoli Satriano a spiegare sufficientemente la presenza di un culto verso San Potito in Sardegna, a Pisa e Tricarico, occorre documentare scrupolosamente tali possedimenti.
AUSCULUM accolse poco dopo Lesina una colonia cassinese, che durò molto a lungo, costituendo con quella di Troia l'ultimo avanzo dei possedimenti di Montecassino nella Daunia: infatti la sua esistenza, sebbene in limiti molto ridotti, ossia nella forma di una prepositura titolare concessa in godimento a ecclesiastici che corrispondevano un canone a Montecassino, si protrasse fin quasi alla fine del secolo XVIII. L'origine della colonia cassinese di Ascoli è oscura, perché è giunto il ricordo unicamente di donazioni fatte da privati, mentre l'autorità bizantina compare appena per le conferme. la colonia, prepositura o cella secondo i tempi, fu fin da principio sotto il titolo di S. Benedetto, cui si aggiunse S. Nicola per la posteriore donazione della omonima chiesa. Ma prima di questo nucleo, che si riallacciava direttamente e distintamente a Montecassino, in Ascoli si era formato un altro possesso patrimoniale cassinese, composto dai beni appartenenti a S. Sofia di benevento, monastero non ancora separato dalla casa madre. In questo monastero era stato traslato all'inizio del secolo IX il corpo del martire Potito! Nell'892 l'imperiale protospatario Simbaticio riconobbe e confermò questi beni all'abate Ragemprando di Montecassino e al preposito di S. Sofia Crissio, beni che facevano parte della primitiva donazione fatta dal principe Arichi II nel 774 al cenobio di S. Sofia col diploma "Regina dives opibus". A questi beni nell' 835 il principe Sicardo (lo stesso che ordinò il trasferimento del corpo di s. Potito dal Calaggio-Carapelle a S. Soia di Benevento) aggiunse 300 moggi di terra nei pressi di S. Decorenzio. Nel secolo XII S. Sofia aveva ancora possedimenti in Ascoli, come si legge nella bolla di Callisto II a Giovanni abate nel 1120: " in Asculo S. Petri, S. Desiderii" [Ughelli, Italia Sacra, X, 556; Leccisotti, Le colonie..., in Miscellanea Cassinese, 19, Montecassino 1940, p. 9].Clemente V concesse poi questi possedimenti al cardinale Vitale di s. Martino ai Monti, il 9 gennaio 1313 [Reg.Vat. 60, f. 267v, nr.25] e il 23 ottobre dello stesso anno [Reg. Vat. 60, f. 189, nr. 584]. Per quanto riguarda i diretti possedimenti assinesi in Ascoli, ci si può rifare all' anno 886, in cui un ricco ascolano, il suddiacono Hermefrid, offrì al preposito cassinese Vuamelfrid se stesso con tutti i propri beni siti in Ascoli. Da tale notizia so dedice che la prepositura cassinese in Ascoli preeisteva all'anno 886.
Nel maggio dell'anno 911 l'imperiale protospatario Giovannaccio riconobbe all'abate Leone di Montecassino, rappresentato dal preposito Vuamelfrid, i beni cassinesi in Ascoli. Nell'ottobre dell'anno 1011 Basilio Mesardonite, protospatario e catapano, riconfermò in Salerno, dietro richiesta dei monaci cassinesi, i possedimenti ascolani. Nel marzo dell'anno 1032 Potone Argirio, protospatario e catapano, riconfermò, dietro richiesta del monaco Basilio, il sigillo di Basilio Mesardonite. L'abate Desiderio di Montecassino (1058-87), poi papa Vittore II, narra che il monaco Mancuso, pugliese, volle ridiventare laico, ma ritornò alla vita monastica un seguito a una orribile visione che lo lasciò infermo, pregando i parenti che lo condussero alla cella del monastero che si trovava di fronte alla città di Ascoli. Il fatto si riferisce al governo dell'abate precedente Richerio (1038-55). La cella di cui parla desiderio era il possedimento cassinese posto fuori Ascoli, cioè la masseria "mezzana di S. Benedetto", alla quale Desiderio designò come preposito il monaco che nel governo di tremiti non aveva appoggiato i suoi piani [Chronica monasterii Casinensis, III, 25 (MGH Scriptores, VII,716); Leccisotti, Le colonie..., in Miscellanea cassinese, 19, Montecassino 1940, p. 10-11, P.Saraceni, Il monastero delle isole tremiti, Milano 1874; A. De Francesco, La Badia benedettina di tremiti e il Chartularium Tremitense, Catanzaro 1910; A. Petrucci, Codice diplomatico del monastero benedettino di S. Maria di tremiti, Roma 1960]. Invece il monastero di S. Benedetto era posto dentro Ascoli, come risulta dalla donazione del monaco Romano e del figlio prete Giovanni, ambedue ascolani, nel marzo dell'anno 1093. Nel febbraio del 1110 Guisenolfo donò una parte dei suoi beni alla chiesa di S. Benedetto in Ascoli.
C - DAL DECIMO AL SEDICESIMO SECOLO
Tra la fine del secolo IX e gli inizi del X i Bizantini rioccupano il meridione: si costituì il Tema di bizantino di Longobardia (Puglia) col catapano a Bari. I monasteri benedettini, distrutti dalle precedenti incursioni arabe vennero ricostruiti: tra questi lo stesso Montecassino e S. Vincenzo al Volturno. In questo periodo il vescovo di Ascoli Mauro (1059-72) partecipò il 13 agosto 1059 alla consacrazione della chiesa di S. Angelo al Volturno. Col ritorno dei Bizantini rifiorirono i monasteri basiliani e ricomparvero i vescovi greci. La Puglia si coprì di laure basiliane. Nel secolo X anche ad Ascoli venne fondata da S. Vitale una laura basiliana: quella di S. Marena, il cui ricordo resta tuttora nella toponomastica ascolana. Vitale di Castronuovo (+ 993), in seguito all'invasione araba della Sicilia fondò molti monasteri in Lucania e in Puglia. Le sue reliquie furono poi collocate nella cattedrale di Tricarico, alla cui chiesa restò legato il suo culto, come anche quello di S. Potito. Viene così tracciata fondamentalmente la direttrice agiografica Ascoli-Tricarico-Ravenna, che spiega attraverso i basiliani le migrazioni culturali dei secoli X-XI.
Solo nell' XI secolo i Normanni annientarono il dominio bizantino in Puglia e Calabria e quello longobardo in Campania, portando all'unificazione del meridione. Il 4 maggio dell'anno 1041 i Bizantini furono sconfitti dai Normanni a Montemaggiore e nel 1053 papa Leone IX venne battuto dagli stessi Normanni a Civitate. In epoca normanna le città pugliesi conobbero una rapida fioritura dovuta alla maggiore sicurezza del paese e allo sviluppo dei traffici marittimi.
I possedimenti benedettini in Ascoli si accrebbero sia sotto i Normanni, sia sotto gli Svevi, sia sotto gli Angioini, che si proclamarono feudatari della Chiesa. nel marzo del 1237 Giacomo Rossi di Cademolio vendette al medico Giovanni una casa posta fuori della porta di Pianello edificata su suolo dell'episcopio ascolano e della chiesa di S. Benedetto, a cui si corrispondeva un censo. Nel 1273Ascoli fu unita amministrativamente alla prepositura di S. Nicola "de Turri pagana" di Benevento e doveva corrispondere annualmente un censo di otto once d'argento alla badia di Montecassino. Nel 1343 Ascoli fu distrutta da un violento terremoto, ma subito riedificata, perché tra il 1358 e il 1362 la troviamo retta unitamente a S. Nicola di Benevento dal monaco cassinese Ugo di Balduino. Il 2 aprile 1377 i due monaci cassinesi Francesco di Sicilia, preposito di S. Benedetto di Ascoli, e Gregorio di Vercelli, preposito di S. Nicola di Torrepagana di Benevento, scelsero col consenso dell'abate Pietro de Tartaris quale loro procuratore il monaco cassinese Angelo degli Americi di Benevento. Nel 1379 il censo corrisposto da Ascoli a Montecassino venne così segnato: "Prepositura Sancti Benedicti de EXCULO (Ascoli) uncias VII in carlensis" [Regestum II Petri de Tartaris, f.23] e nel 1380: "Prepositura Sancti Benedicti de ESCULO (Ascoli)in argentouncias VII" [Regestum II Petri de Tartaris, f. 52v]. Il 9 febbraio 1433 il monaco cassinese Filippo di S. Apollinare, preposito di s. Nicola di Benevento, delegato dell'abate Pirro Tomacelli a curare gli interessi cassinesi in tutta la Capitanata, fece ricercare dal bibliotecario Angelo di Atina nella biblioteca cassinese i documenti che potevano servirgli per rivendicare i possedimenti e i privilegi cassinesi di Ascoli, dopo la ricostruzione del paese in seguito al terremoto del 1343.
La prepositura ascolana è ricordata anche nel diciassettesimo pannello del primo battente delle porte monumentali della basilica cassinese, in cui si legge. "Sanctus Benedictus in Asculo cum omnibus pertinemtiis suis" (S. Bendetto in Ascoli con tutti i suoi possedimenti). Oltre ai possedimenti cassinesi e di S. Sofia di Benevento (i quali ultimi spiegano, unitamente alla dominazione longobarda, la traslazione e il culto di S. Potito a Benevento), anche i benedettini di Montevergine e della trinità di Venosa (filiazione di Cava) avevano ampi possedimenti nel territorio ascolano. I possedimenti dei benedettini di Montevergine in Ascoli spiegano la traslazione, da loro operata, del corpo di s. Potito da S. Sofia di Benevento alla Badia di Montevergine. Quanto ai benedettini della Trinità di Venosa è da notare che essi, costretti ad abbandonare la Badia venosina nel 1126 e rifugiatisi in Calabria, a Montecassino e a Cava, fecero ritorno a Venosa nel decennio successivo; ma nel 1297 con un dereto di Bonifacio VIII il dominio della Trinità di Venosa passò dai benedettini ai Cavalieri gerosolimitani [G. Spera, L'antica Satriano in Lucania, badia Benedettina di Cava dei Tirreni 1886; G. Crudo, La SS. Trinità di Venosa. memorie storiche, diplomatiche, archeologiche, Trani 1899].
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A questo punto della ricerca è opportuno trarre le prime conclusioni:
1) il corpo di S. Potito venne sottratto alla sua patria già nel secolo IX;
2) venne così a mancare il fondamento del culto, che progressivamente scompare nella popolazione ascolana;
3) il ricordo e la celebrazione del martire si conservò solo nei monasteri benedettini, che ne avevano ereditato le reliquie e le tradizioni
liturgiche-agiografiche;
4) poiché la Trinità di Tricarico (nella quale furono trovate nel 1500 o nel 1506 reliquie di S. Potito) era strettamente legata alla
Trinità di Venosa, di cui subì le medesime vicende storiche, passando pure ai Gerosolomitani, e poiché la Trinità di Venosa aveva estesi
possedimenti in Ascoli ed era legata agli altri benedettini di Cava, Monte Vergine e Montecassino, fu facile il passaggio di reliquie di S.
Potito ai benedettini della Trinità di Tricarico [d'altra parte anche in Ascoli, nel borgo di S. Andrea, c'era nell'epoca delle Crociate un
ospedale tenuto dagli Ospedalieri Gerosolimitani di S. Giovanni di Torre Alemanna, e prima del XV secolo un monastero di monache benedettine.
Infatti, così scrive Pasquale Rosario nel manoscritto "Ascoli Satriano dalle origini ai tempi nostri": "Non poche altre terre ascolane erano
possedute dai benedettini di Montecassino, di Cava dei Tirreni, di S. Sofia di Benevento. Le terre dell'abate venosino, le cui bandiere gli
ascolani portaronsi alle crociate in terra Santa, passaron poscia al Gran maestro e quindi al Balì dei Cavalieri Gerosolimitani, subentrati
nel 1297, per ordine di Bonifacio VIII, nel dominio della Trinità di Venosa; ma già pria di quel tempo in Ascoli nel borgo S. Andrea vi era
l'ospedale tenuto dagli Ospedalieri di S. Giovanni Gerosolimitani di torre Alemanna. Anche i Verginiani vi ebbero in Ascoli, in quell'epoca,
due conventi: S. Donato e S. Pietro al Piano con ricchi possedimenti". Anche il territorio detto Conte di Noia era commenda dell'ordine
Gerosolimitano].
Difatti la popolazione di Tricarico non conosceva l'esistenza di S. Potito fino al ritrovamento casuale del XVI secolo: misconoscenza dovuta evidentemente alla conservazione delle reliquie e del culto nell'ambito esclusivo della Badia benedettina. Questa spiegazione della presenza di reliquie di S. Potito nella Trinità di Tricarico appare più semplice e insieme più documentabile di quella offerta dal Mallardo, il quale scrive: "Mentre della chiesa della trinità di venosa sappiamo che fu fondata da Gisulfo di Salerno nel 942, e riccamente dotata da Roberto Guiscardo nel 1063, nessuna notizia conosciamo della origine della SS. Trinità di Tricarico. è verosimile che sia sorta alla stessa epoca, press'a poco, della Trinità di Venosa, e che la presenza in essa delle reliquie di S. Potito si possa spiegare con il fluire, attraverso quelle regioni, di cavalieri crociati e di Normanni. se dell'esistenza della diocesi di Tricarico fossimo più sicuramente informati per l'età anteriore al secolo X, si potrebbe pensare a migrazione di culto dovuta al fatto che Tricarico non è lontana da Potenza e da venosa, posta sulla direttrice di quella via Herculia, alla quale è legato il teatro del martirio, e quindi del primo luogo di culto, di S. Potito" [Mallardo, S. Potito..., p. 31-32. Occorre anche notare che la Badia di cava, di cui quella venosina era una filiazione, ebbe come abate l'ascolano Severino Boccia (1620-1696); cfr. F. Ferruccio Guerrieri, L'abate Severino Boccia grammatico e lessicografo del secolo XVII, Cerignola 1899; e che la stessa Badia aveva sotto la sua giurisdizione S. Potito di Roccapiemonte, in provincia di Salerno].
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Per spiegare la presenza del culto di S. Potito in Sardegna e a Pisa, occorre produrre un'altra serie di documenti tesi a dimostrare il ruolo svolto anche in questo caso dai benedettini, che nel Medioevo furono tra i maggiori operatori culturali e cultuali in Italia.
Nel 1016 Pisa conquistò la Sardegna e la dominò fino al 1296, contrastata però largamente da Genova, dai giudici sardi e dai papi. leone Ostiense, accolto all'età di 14 anni a Montecassino , istruito e protetto dall'abate desiderio, alunno di Aldemario, narra che nel 1063 [Chronica Monasterii Casinensis (MGH Scriptores), III, 21-22] i legati del re Barisone di Torres in Sardegna si recarono a Montecassino per chiedere alcuni monaci "ad monasterium costituendum" (per fondare un monastero), offrendo al beato benedetto "duo magna et optia pallia" (due grandi e bellissimi pallii) e promettendo grandi donazioni e onori a quei monaci designati a divulgare il monachesimo ancora sconosciuto "partibus illis" (in quei luoghi). L'abate Desiderio accondiscese e scelse "duodecim de melioribus coenobii frateibus (dodici fratelli tra i mogliori del monasteri). Questi, guidati dall'abate Aldemario, portando codici, bibbia, arredi sacri e reliquie di corpo santi, si imbarcarono su una nace da gaeta per la Sardegna. La spedizione non ebbe fortune, perché sulle coste dell'isola del Giglio i monaci vennero assaltati da navi pisane, che incendiarono la nave, portandosi via tutto il carico. i malcapitati monaci, ritrovati malconci dai confratelli di s. Giorgio di Lucca, fecero ritorno a Montecassino, raccontando l'accaduto. Quattro di loro morirono. Intanto i Pisani, dividendosi il bottino assegnarono al loro capo lo scrigno delle reliquie sacre e gli fecero giurare di non cederle mai a nessuno. Le reliquie vennero deposte nel palazzo arcivescovile di Pisa. Papa Alessandro II, pregato dall'abate Desiderio, mandò a Pisa un legato e un monaco a minacciare la città di anatema se non restituissero tutto il bottino. Ma i Pisani restituirono quanto riuscirono a ritrovare, tenendosi però le reliquie. Questo è il racconto di Leone Ostiense [Filia, La Sardegna cristiana, II, 8; Mattei, Sardinia Sacra, Roma 1761, p. 50; Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, Cagliari 1839, s. v. Barisone; Manno, Storia di Sardegna, Capolago 1840, p. 360; Martini, Storia Ecclesiastica di Sardegna, I, Cagliari 1839, p. 220; E. Besta, La Sardegna Meridionale, I, Palermo 1908, p. 75; Borino, Per la storia della riforma della Chiesa nel s. XI, Roma 1915, p. 23; Besta, Nuovi studi sui Giudicati sardi, "Archivio Storico Italiano", XXVII (19019, 54; Chronica monasterii Casinensis (MGH Scriptores), III, 24; A. Saba, Montecassino e la Sardegna medioevale. Note storiche e codice diplomatico sardo-cassinese, in Miscellanea Cassinese, 4, Montecassino 1927, p. 7-11].
Da tale cronaca se deducono elementi importanti per la presente ricerca:
1) il corpo di S. Potito si trovava in una badia benedettina (S. Sofia di Benevento) già dai primi anni del secolo IX;
2) a S. Potito era intitolato l'antichissimo monastero benedettino di Napoli;
3) secondo la prassi del tempo reliquie di S. Potito potevano perciò facilmente trovarsi sparse in diversi monasteri benedettini;
4) per una spedizione così importante e rischiosa i monaci portarono con sé le loro maggiori reliquie, e quelle di S. Potito, venerato in moltissimi monasteri e conservato nella badia di Benevento, non erano certamente da meno nella stima dei benedettini del secolo XI: Aldemario era stato notaio del principe Riccardo di Capua, città con monastero benedettino e antichissimo culto verso S. Potito;
5) infatti, già al secolo VIII la vita di S. Potito era evidentemente letta e diffusa anche nei monasteri d'oltralpe (Reichenau);
6) è quindi scientificamente fondata l'ipotesi che reliquie di s. Potito si trovassero tra quelle portate dai monaci nella loro spedizione e che esse passassero in tal modo ai Pisani: difatti a Pisa nel 1088avvenne la traslazione di reliquie di S. Potito nella basilica cattedrale.
Ma c'è un'altra ipotesi scientifica di pari solidità, per spiegare la presenza delle reliquie e del culto di S. Potito in Sardegna e a Pisa. Due anni dopo la spedizione finita tragicamente ad opera dei Pisani (che non vedevano di buon occhio l'arrivo dei cassinesi in Sardegna, facili a diventare ottimi consiglieri d'indipendenza accanto ai giudici sardi e ad avere molte ingerenze nella politica), i benedettini giunsero sull'isola, ottenendo le chiese di S. Maria di Bubalis e di S. Elia di Montesanto con le terre adiacenti numerosi servi [Muratoti, RIS, X, Mediolani 1734, p. 34; Gattola, Historia..., Venezia 1733, p. 153; Tronci, Annali Pisani, ann.1164; Gazano, La Storia della Sardegna, Cagliari 1777, III, 7; Fara, De rebus Sardois, II, Cagliari 1838, p. 133; Manno, Storia...,Capolago 1840, p. 159; Santoro, Le relazioni tra Pisa e la Sardegna dal 1015 al 1165, Roma 1896; L. Tosti, Storia della Badia di Montecassino, I, Roma 1888, p. 222; caps. XI, 11, pergamenacea, dell'Archivio di Montecassino; Regestum Petri Diaconi, f. 88, n. 150; Gattola, Ad historiam..., Venezia 1734, p. 174; Muratori, Antiquitates Italicae..., II, Mediolani 1739, XXXII, 1057-58; Tola, Codex Diplomaticus Sardiniae, Torino 1861, s. XI, nr.6].
Nel 1066-67 altri cassinesi si stabilirono nel Cagliaritano, ottenendo dal re Torchitoro le chiese di S. Vincenzo de taberna, S. Maria de Flumine tepidus, S. maria, S. Pantaleo de Ovivano, S. Giorgio de Tulvi e S. Maria de Palma, con le terre annesse a i servi [regestum petri Diaconi, f. 259, nr. 639; Gattola, Historia..., Venezia 1733, p. 154; Tola, Codex..., Torino 1861, XI, 7; Besta, Nuovi studi..., p. 31; Regestum Petri Diaconi, f. 68, nr.151].
Nel cagliaritano però sorsero contese tra i cassinesi e i benedettini di Marsiglia (che vi avevano vasti possedimenti) e il vescovo di Solci. Il papa Eugenio III inviò come gidice pacificatore l'arcivescovo di Pisa, che consolidò smpre più la propria autorità nell'isoal. Casi simili si ripetettero spesso nel XII secolo [Saba, Montecassino..., in Miscellanea cassinese, 4, Moontecassino 1927, p. 26-30; Tola, Codex..., torino 1861, XI, 10; Regestum Petri Diaconi, f. 35,36, 259, 32, nr. 77, 78, 640, 59; P. Kehr, Le bolle pontificie anteriori al 1198 che si conservano nell'Archivio di Montecassino, Montecassino 1899, p. 20, 67, 168; Gattola, Historia..., Venezia 1733, p. 155; Tola, Codez..., Torino 1861, XII, 53; Besta, Rettificazioni Cronologiche al i vol. del Codex Diplomaticus Sardiniae, "Archivio Storico Italiano", I, (1905), 296; A. Potthast, Regesta Pontificum Romanorum, Berlino 1874, nr. 516, 1781, 1784-85; Mattei, Sardinia Sacra, Roma 1761, p. 88; Guerard, Cart. de l'abbate de S. Victor de Marseille, "Coll. des Cart. de France", Paris 1857, doc. nr. 1009, caps.II, 30: X, 35; VI,22; III, 15; VI, 27: pergamenacee originali, dell'Arch, di Montecassino: Regestum II Privilegiorum (codice membranaceo del secolo XVI), f. 11; nr. 9, dell'Arch. di Montecassino].
Nel 1131 Gonnario II donò vari possedimenti sardi alla chiesa di S. Maria di Pisa [Tola, Codex..., XII, 40]. Alla metà del XIII secolo si insediarono nel monastero di Cabu-Abbas presso Sindia, dotato di molto beni, dei monaci inviati da Bernardo di Chiaravalle [Saba, Montecassino ..., in Miscellanea Cassinese, 4, Montecassino 1927, p. 43]. E' del 1176 una donazione di possedimenti sardi all'ospedale di S. Leonardo di Pisa [Mattei, Sardinia Sacra, Roma 1761, p. 152]. Alla morte di Barisone d'Arborea nel 1184 Pisa restò padrona del Cagliaritano [Saba, Montecassino ..., in Miscellanea Cassinese, 4, Montecassino 1927, p. 46].
Va anche notato, per la diffusione del culto di S. Potito, che i monasteri sardi all'occorrenza diventavano luogo di esilio per i monaci intriganti, e che nel XIV secolo ai cassinesi si sostituirono progressivamente i Vallombrosiani, i Cistercensi, i Camaldolesi e gli Ospedalieri gerosolomitani [Saba, Montecassino..., in Miscellanea cassinese, 4, Montecassino 1927, p. 49; A. Caplet, Regesti Bernardi I Abbatis Cassinensis fragmenta , Romav1890, nr. 134; Tosti, Storia della Badia di Montecassino, III, Roma 1890, p. 5]. Questi ultimi avevano un ospedale e dei possedimenti anche ad Ascoli [Rosario, Ascoli Satriano dalle origini ai tempi nostri (manoscritto)]. Nel 1089 S. maria di Pisa possedeva un mulino a tanache [Cfr. Carte del Baille, portaf. II,; Besta, La Sardegna..., p. 85].
Nel 1131 Gonnario II concesse a S. Maria di Pisa un casolare in "Valle de Marthu" in campo di "Tanaghe" [Besta, Codex..., XII, 40], e inoltre a corte di Bosove [Tola, Codex..., XII, 40]. Nel 1082 Mariano di Torres concesse a S. Maria di Pisa le chiese di S. Maria di Genova e S. Michele di Plaiano [Besta, Il Liber Iudicum Turritanorum, Palermo 1906, p. 14]. Inoltre gli stessi monaci cassinesi, Mariano di Prussia e Battista di Rimini, che visitarono i possedimenti ascolani nel 1441, visitarono anche quelli
sardi [Regestum Conventus, f. 14]. Si rileva infine che le badie sarde erano edificate secondo i modelli dell'arte pisana e da artisti pisani, mentre gli arcivescovi di Pisa vedevano sempre più confermata la loro funzione di legazia e primazia in Sardegna.
I possedimenti cassinesi in Sardegna si protrassero almeno fino al XV secolo, comprendendo le abbazie di Thergu, di Gurgo e di Nurchi, da cui dipendevano i priorati di S. Nicolò di Soliu, S. Maria de Soliu, S. Pietro de Nurchi, S. Pietro in Simbranos, S. Giorgo di Bonarcatu, S. Elia de Monte Sancto, S. Elia de Setin, S. Eliseo di Monte Santo, S. Giorgio di Barache, S. Giorgio di Ticillo, S. Giorgio di Tului, S. Giovanni di Nugulvi, S.maria die Bubalis, S. Maria de Flumine tepido, S. Maria de Gennor, S. Maria de Iscala, S. Maria de Palma, S. Maria de Sabuco, S. Maria de Soralbo, S. Maria de Taneke, S. Maria , S. Michele in Ferruciso, S. Michele de Thurricella, S. Nicola de Nugulbi, S. Nicola de Talasa, S. Pantaleone a Olivano, S. Pietro de Nugulvi, S. Pietro de Traingle, S. Vincenzo de Taberna [Caps. I, 36, XI, 11, 14, II, 39; Xii, 5; XI, 38, 16; I, 3, XI, 15, 53; X, 35; XI, 12, 8, 17, 45; VII, 17; I, 6; II, 43; XI, 10; XII, 4; I, 8;: dell'Arch. di Montecassino; regestum Petri Diaconi, f. 68, 259, 247, 30, 249, 29, 246, 69, 255, nr. 150, 639, 151, 588, 47, 591, 595, 590, 586, 46, 589, 587, \52, 612; Gattola, Ad historiam..., p. 174, 237,255, 266; Historia..., p. 154, 424, 425, 155, 344, 335, 426, 428, 353, 156, 343, 338, 438, 577; Muratori, Antiquitates..., II, Mediolani 1739, XXXII, 1057-58, 1061-62, 1052-53; Tola, Codez..., Torino 1861, XI, 6, 7,; XII, 28, 32, 11, 46, 12, 36, 30,16, 15, 38, 44, 45, 56, 59, 40, 66, 110, 111,; XIII, 33; Kehr, Le belle..., p.11, 69, 12; Chronica monasterii Casinensis (MGH Scriptores), 795, III, 67; IV, 68; IX, 67; Jarré - Loewenfeld, regesta Pontificum Romanorum, Lipsiae 1885 - 88, nr. 6857, 6984, 10595, 14673; Tosto, Storia..., p. 444, 443, 287; Gazano, la Stoia dell'arte in Sardegna dal secolo XI l secolo XIV, Cagliari-sassari 1907, p. 196; G. Bonazzi, Il condaghe di S. Pietro di Silchi, sassari-Cagliari 1900, p. 20; Besta, Nuovi stui..., p. 44; Potthast, regesta..., Berolini 1874, nr. 3470, 5327; PL., CCXV, 1594; Besta, i Condaghi sardi, " Boll.Bibl. sardo", III (1903), 31-32; Fara, De chorographia sardiniae libri duo, Cagliari 1838; Lubin, Abbatiarum Italiae btevis notitia, Roma 1693; R. Palmarocchi, L'Abbazia di Montecassino e la Conquista Normanna, Roma 1913; Solmi, Studi storici sulle istituzioni della sardegna nel Medio Evo, Cagliari 1917; Lecarte volgari dell'ArchivioArcivescovile di cagliari, "Archivio storico Italiano", XXXV (19059; Vico, Historia general de la isle de sardena, Barcelona 1639, O. Dei Medici, Annali di Montecassino (inediti), Archivio di Montecassino; G.B. Federici, Memorie historiche di Montecassino (inedite), Archivio di Montecassino].
Da questo rapido quadro dei possedimenti benedettini in Sardegna e del dominio, influenza e ruolo politico-religiosi, esercitativi da Pisa e dal suo arcivescovo, si deduce la facilità di un passaggio del culto di S. Potito dai monasteri di Puglia e Campania a quelli sardi, e da questi alla chiesa pisana, anche prescindendo dal racconto di leone ostiense, sopra ricordato.
In tal modo si è giunti alla fine della ricerca, dando solidi fondamenti alla originaria ipotesi di lavoro, che non solo appare gratuita, ma è anche confortata da una spiegazione coerente delle traslazioni e della diffusione del culto verso il martire Potito.
Individuata la patria pugliese del martire in Ascoli Satriano o Ordona, individuati gli artefici materiali e le occasioni delle traslazioni e della diffusione del culto, è ora estremamente facile tracciare una mappa ragionata:
a) dal luogo del martirio presso il Calaggio-Carapelle all'abazia benedettina di s. Sofia in Benevento, per opera di Sicardo, duca longobardo di Benevento;
b) nel ravennate, ad opera dei Bizantini e dei Monaci basiliani;
c) a Capua, in Irpinia e nella Campania in generale, ad opera dei monaci benedettini e dei principi normanni;
d) a Napoli, in seguito agli scambi liturgico-agiografici del IV-V secoli, e poi ad opera dei basiliani e dei benedettini;
e) a Tricarico, sempre ad opera dei benedettini;
f) a Cagliari in Sardegna, ad opera dei benedettini, diventati ormai eri e propri amministratori delle reliquie del martire;
g) dalla Sardegna a Pisa, in seguito al dominio, influenza e ruolo politico-religiosi, esercitati da Pisa e dal suo arcivescovo nell'isola, per lo spazio di circa 280 anni;
h) nel resto d'Italia e in Europa, per opera dei monasteri benedettini, dei Cavalieri Gerosolomitani e in genere degli scambi religiosi indotti dalle crociate.
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La chiesa ascolana, privata del corpo del martire, decaduto il culto dopo l'allontanamento dei benedettini, suoi unici conservatori, rivolse la propria attenzione nel XVIII secolo a S. leone. Soltanto nel secolo seguente, ottenuta da Tricarico una reliquia del martire, questi ritornò a occupare il primo posto nel culto popolare ascolano, tanto da far dimenticare in breve il culto di S. Leone.
Ma i secoli di essenza del corpo e del culto del martire Potito non erano passati invano, producendo un vuoto di tradizione nel popolo, che ormai riteneva di origine sarda Potito e creava dei racconti favolosi e fantasiosi per spiegarsi la presenza di reliquie a Tricarico anziché ad Ascoli Satriano: leggende che questa ricerca ha preteso smentire, nell'intento di recare un contributo minimo alla storia della chiesa ascolana e meridionale in genere.
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